Siamo ancora ai colpi di fioretto, ci mancherebbe. Ma a 74 giorni esatti dalle Europee è difficile immaginare che il crescendo delle ultime ore non finisca per sfociare in qualche affondo di sciabola. Nel centrodestra, infatti, continuano le frizioni sul futuro assetto dell'Europa. Frizioni inevitabili, certo. Imposte da una campagna elettorale condizionata dal fatto che si voterà con il proporzionale e, dunque, tutti contro tutti. Con un'inevitabile corsa a destra tra Ecr (il gruppo dei Conservatori a cui aderisce Fdi) e Identità e democrazia (quello dove milita la Lega). Una inseguimento ravvicinato che punta al terzo scalino del podio di gruppo più numeroso al Parlamento Ue, posizione da cui poi provare a condizionare la nomina del prossimo presidente della Commissione Ue. Anche se, va detto, tutti i sondaggi dicono che sarà quasi impossibile dal punto di vista dei numeri non replicare quell'asse tra Ppe e Socialisti (di gran lunga primo e secondo gruppo) che nel 2019 portò all'elezione della popolare Ursula von der Leyen.
Eppure da sabato il livello di guardia sembra essere più vicino, perché Giorgia Meloni non ha affatto gradito - per usare un enorme eufemismo - il video di Marine Le Pen ospitato alla kermesse romana di Id organizzata da Matteo Savini. Messaggio registrato e, dunque, di cui il segretario della Lega era a conoscenza. E nel quale la leader del Rassemblement National critica frontalmente Meloni. «Un premier attaccato dal palco di una manifestazione organizzata dal suo vicepremier è una cosa senza precedenti, un salto di qualità», è la riflessione che accomuna Palazzo Chigi e via della Scrofa. Tanto che domenica Meloni ha valutato anche una riposta diretta e a tono, per poi decidere di evitare di gettare benzina sul fuoco (c'è chi sostiene che abbia preferito non andare a votare al congresso romano di Fdi proprio per non commentare a caldo la cosa). Perché, è la riflessione della premier, dividere il centrodestra è solo un favore alla sinistra. Un segnale, però, andava dato. E così ci ha pensato Carlo Fidanza, capo-delegazione di Fdi a Bruxelles, a mettere nero su bianco il forte disappunto in un'intervista a La Stampa («da Salvini messaggi non positivi, mi ha sorpreso che la manifestazione di Id sia stata soprattutto l'occasione per distinguersi da noi e attaccare Giorgia»). Con l'europarlamentare Nicola Procaccini che ha rincarato la dose: «Un errore la mancata presa di distanze e gli applausi a Le Pen».
Ieri pomeriggio, però, il braccio di ferro è continuato. Meloni, a Potenza per i Patti di coesione, auspica l'unità del centrodestra e spiega che «il tema non è il presidente della Commissione Ue, ma la maggioranza che lo sostiene». D'altra parte, da premier sa bene che se il candidato alla guida della Commissione sarà del Ppe difficilmente potrà non sedersi al tavolo dove si decidono le sorti dell'Europa per i prossimi cinque anni. Nel 2019 lo fecero anche il M5s dell'allora premier Giuseppe Conte e gli ultraconservatori del Pis dell'allora primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. E che il candidato «sarà certamente del Ppe», spiega il ministro degli Esteri Antonio Tajani alla presentazione del libro Nazione Europa di Claudio Tito, «lo prevedono i trattati» secondo cui «deve essere espressione del risultato elettorale». E sul fatto che i Popolari saranno il primo partito, aggiunge, «mi pare non ci siano dubbi».
Tutte considerazioni a cui Salvini risponde con una nota del Carroccio: «Da mesi auspichiamo un centrodestra unito, ma fino ad oggi sono arrivati solo veti su Le Pen e gli alleati della Lega. Speriamo che nessuno preferisca governare l'Ue con Macron e i socialisti piuttosto che con la Lega e i suoi alleati». Circostanza che però Tajani esclude a priori: «Noi siamo il Ppe e non andiamo con Le Pen e con Afd».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.