Meloni, la sfida Ue e i tempi stretti. Le "sliding doors" tra Ursula e Marine

Cautela su top jobs e voto in Francia. Se vince Le Pen, idea gruppo unico

Meloni, la sfida Ue e i tempi stretti. Le "sliding doors" tra Ursula e Marine

In piedi davanti a un imponente podio fatto con il tronco di uno dei milioni di ulivi che in questi anni sono stati colpiti dalla xylella, Giorgia Meloni tira le somme del G7 appena concluso e guarda al complicato e decisivo puzzle delle nomine europee che già domani entrerà nel vivo a Bruxelles, dove i ventisette leader dell'Ue si ritroveranno per fare il punto sui cosiddetti top jobs alla luce del voto europeo della scorsa settimana.

La premier rivendica il successo del summit di Borgo Egnazia, sedici ettari nella provincia di Brindisi che sono una via di mezzo tra un paesino-resort e una masseria di lusso, dove per tre giorni e due notti si sono riuniti i Sette grandi del mondo e le rispettive delegazioni. Meloni sottolinea la «piena sintonia» nel sostegno all'Ucraina, ricordando «l'accordo non scontato» sul congelamento degli asset russi, e ribadisce la l'intesa sul conflitto in Medio Oriente, assicurando «pieno sostegno» alla mediazione degli Stati Uniti. Poi rimarca i punti delle conclusioni finali su cui più la presidenza italiana ha insistito: l'immigrazione illegale, l'intelligenza artificiale, la global minimum tax, il Piano Mattei. Sul mancato riferimento alla parola «aborto» nel wording finale, invece, la premier parla di «polemica artefatta» perché «le cose date per acquisite non vengono ripetute» ed è dunque stato sufficiente «richiamare le dichiarazioni del G7 di Hiroshima» dove «era garantito l'accesso all'aborto libero e sicuro».

Chiuso il sipario sul settimo G7 a guida italiana, Meloni inizia a preparare la strada per l'imminente partita europea. E lo fa continuando a seguire l'approccio dell'ultima settimana, caratterizzata da un'estrema cautela. Da una parte, infatti, c'è la concreta ipotesi del bis della popolare Ursula von der Leyen, con cui i rapporti sono ottimi. Dall'altra c'è una tempistica che non aiuta, con Marine Le Pen che il 7 luglio potrebbe vincere le legislative in Francia e rompere il cordone sanitario che il Ppe e i socialisiti di S&D le hanno costruito intorno al Parlamento Ue. Se Jordan Bardella, presidente del Rassemblement national, riuscirà infatti a diventare primo ministro della Francia, sarà impossibile almeno per i Popolari non interloquire con il capo del governo di un Paese fondatore che per numero di abitanti (67 milioni) è secondo solo alla Germania.

In questo scenario, è evidente che una Meloni che appoggia von der Leyn rischia molto. Al voto in Parlamento sul futuro presidente della Commissione Ue, infatti, Fdi - in quanto partito che esprime il premier di un Paese pesante come l'Italia - difficilmente può sfilarsi, a meno di non voler compromettere il futuro rapporto tra Roma e Bruxelles e prendersi un commissario con un portafoglio leggerissimo se non addirittura inutile.

Ecco perché per Meloni la tempistica è tutto. Lunedì è in programma il vertice dei Ventisette, il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo che dovrebbe designare von der Leyen (o, eventualmente, un altro nome del Ppe). Il ballottaggio delle legislative francesi, invece, è il 7 luglio. Per indicare i top jobs europei (presidenti di Parlamento, Consiglio e Commissione e Alto rappresentante per la politica estera) «potrebbe essere opportuno aspettare il voto in Francia?», chiede un giornalista in conferenza stampa. Risposta di Meloni: «Ho letto le dichiarazioni del ministro Antonio Tajani («sarebbe ragionevole attendere le elezioni francesi», ndr) e mi sembrano parole di buon senso. Per noi non è un tema pregiudiziale, ma se venisse posto chiaramente ne parleremo lunedì».

Il massimo della prudenza. Prima sposta sul suo vicepremier - autorevole esponente del Ppe - l'idea di un eventuale rinvio che evidentemente complicherebbe la corsa al bis di von der Leyen, poi dice di non considerare comunque la cosa prioritaria e rimanda a chi eventualmente porrà il problema domani a Bruxelles. D'altra parte, i negoziatori di S&D (il tedesco Olaf Scholz e lo spagnolo Pedro Sanchez) insistono per accelerare, con il cancelliere che ribadisce la distanza con Meloni che è «all'estrema destra dello spettro politico». E pure i mediatori del Ppe (il polacco Donald Tusk e il greco Kyriakos Mitsotakis) sono, seppure con sfumature diverse, per chiudere su von der Leyen. Meloni lo sa, ma temporeggia perché il vero problema sarebbe rimanere con il cerino in mano. Votare per Ursula e ritrovarsi pochi giorni dopo con Le Pen al governo della Francia. A quel punto, la sua capacità attrattiva potrebbe convincere anche i polacchi del Pis a fare un gruppo comune con Rn, con Ecr svuotata a fare da «stampella» a von der Leyen. Se i top jobs slittassero, invece, Meloni potrebbe attendere il voto francese e in caso di successo di Le Pen l'idea del gruppo unico con Rn prenderebbe davvero piede. È vero che la dead line per la costituzione dei gruppi al Parlamento Ue è il 4 luglio, ma dopo ci sarebbe comunque modo di modificare gli assetti iniziali.

È questo il doppio scenario che impone a Meloni grande prudenza.

Una gigantesca sliding door con sullo sfondo l'obiettivo di portare a casa un commissario con un portafoglio pesante. «L'Europa - dice la premier - non ignori il messaggio del voto e l'Ue riconosca all'Italia il ruolo che si merita».

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