La moria di botteghe e piccoli esercizi commerciali da tempo è una costante. I dati di Confcommercio non sono sorprendenti. D'altra parte, in un'economia italiana che declina a grande velocità non c'è da stupirsi se il commercio e in generale la micro-impresa pagano il prezzo più alto, dato che oltre all'enormità del prelievo fiscale devono fare i conti con normative che ostacolano in vari modi la libera iniziativa. Tra Usl, uffici comunali e Agenzia delle Entrate, è davvero difficile dedicarsi a far crescere con successo la propria attività.
In parte, questo va riconosciuto, il ridimensionamento di tale settore risponde direttamente alle scelte e alle esigenze dei consumatori. Ognuno di noi tende oggi a rivolgersi più spesso alla grande distribuzione e all'e-commerce; e in varie circostanze grazie a queste realtà noi possiamo disporre di prodotti di migliore qualità e prezzo inferiore. Ma la situazione del commercio sarebbe assai diversa se il quadro istituzionale fosse più ospitale per chi vuole investire e soddisfare il pubblico. Se nel 2019 hanno chiuso
26mila imprese tra bar e ristoranti, molto si deve al crollo di una società che è sempre più statizzata e regolata e che quindi rende un'impresa assai ardua gestire la propria attività. Ci sono certo anche altre questioni: perché molte attività nascono per iniziativa di persone che non hanno le giuste competenze; la scuola non sembra offre un adeguato contributo alla formazione dei nuovi imprenditori; troppi negozi, infine, non sanno cogliere in positivo la sfida di internet. Questo punto, in particolare, merita attenzione. In Italia si tende ad avere paura dell'innovazione e quindi si guarda al cambiamento come a una minaccia. Tutta la dura polemica dei Cinquestelle sulla gig economy, poi sfociata del nefasto «Decreto tutela lavoro», di sicuro non ha favorito i nostri ristoranti. Se in tutto il mondo non si ostacolano le imprese che ci permettono di avere una pizza a casa al prezzo di pochi euro e da noi invece sì, non possiamo sorprenderci se altrove le cose vanno meglio. A questo punto è necessario soprattutto una cosa. Un settore come quello del commercio deve evitare di adottare quell'atteggiamento «difensivo» che può solo togliergli anche l'ultima chance. Le piccole e piccolissime imprese non devono chiedere sussidi e piani a loro favore, ma invece devono pretendere di poter disporre di maggiori spazi di libertà.
Con meno tasse e meno regole, e con un'iniezione di spirito imprenditoriale, le vecchie botteghe possono rinascere, anche valorizzando la qualità umana di chi le gestisce. Di tutto hanno bisogno, allora, meno che di aiuti di Stato sotto questa o quella veste.
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