Un menu è per tutti. Largo ai cavalieri della tavola condivisa

Tanti piatti al centro e ognuno assaggia tutto Ora anche la ristorazione si piega al «social»

Un menu è per tutti. Largo ai cavalieri della tavola condivisa

Il ristorante è morto viva il ristorante. Meglio se social. Nell'epoca in cui dilaga il food delivery - dalla colazione alla cena, passando per gelato e cocktail, sì, si consegnano anche quelli - si mangia anche sempre più fuori casa. Perché come ai tempi delle trattorie chiassose e delle sanguigne osterie è un modo per socializzare, incontrare gente, prendersi un momento di pausa e dare adito alla chiacchiera. Con amici, ma anche con perfetti sconosciuti. Incontrati lì per caso. Per questo nel «nouveau bistrot» i tavoli si avvicinano, i menu si accorciano e dilaga la condivisione di un piatto tra commensali.

Il fatto è che mangiare insieme resta il modo più diretto, oltre che il più antico, per socializzare. Specie in un momento in cui le relazioni «in carne e ossa» scarseggiano e sempre più gente si trova a tavola da sola, per svariati motivi: orari lavorativi folli, singletudine, viaggi di lavoro.

Ecco cinque modi in cui il ristorante si è trasformato, diventando uno dei principali luoghi di condivisione della nostra epoca.

Banconi e tavoli si avvicinano

Per lungo tempo l'opportuna distanza tra i tavoli fu la cifra del ristorante di qualità, nonché garanzia di privacy. Oggi i tavoli si avvicinano, e non solo per una questione di redditività. È un modo per favorire l'interazione, il commento buttato lì da cui magari nasce una conversazione e chissà pure una nuova amicizia. Per non parlar del bancone: il diffondersi delle cucine a vista ha portato in auge l'usanza un po' Whats American Boy - di mangiare gomito a gomito. Una specie di Tinder serale e analogico, dove fare incontri tra sconosciuti, spesso arrivati per mangiar da soli, ma anche scambiare una chiacchiera con genti di altri luoghi e climi. In una globalizzazione culinaria. E c'è già chi istituzionalizza con serate a tema single e incroci di profili «compatibili».

Un piatto al centro

Non è certo una novità. Anzi in molte culture - come le cucine orientali o africane - il piatto al centro della tavola da cui «pescare» è la norma. Alle nostre latitudini però un tempo condividere portate al ristorante non usava, e mettere la forchetta nel piatto altrui era considerato un po' cafone. Oggi il piatto da dividere è istituzionalizzato, viene spesso offerto e portato, già porzionato, al centro della tavola. Basti pensare all'ormai diffuso «giropizza». Così s'assaggiano più cose, ci si confronta, si condividono opinioni. Preferibilmente sul cibo, secondo quell'usanza tutta italiana e che fa sorridere gli stranieri di parlare di altro cibo mentre si sta mangiando.

La pausa pranzo insieme

favorisce il business

Altro che schiscetta, che fa tristezza: la pausa pranzo con i colleghi è meglio del team building. Secondo uno studio della Cornell University non c'è atto più intimo e utile a creare squadra del mangiare insieme: antropologicamente è un vero e proprio «collante sociale». E ormai da tempo co-working e ristorazione si intersecano e le aziende più avanzate aprono caffetterie e ristoranti interni.

Tribù a tavola

Regimi alimentari speciali per ragioni etiche o dietetiche portano molti ristoranti a differenziarsi con offerte particolari: vegani, per celiaci, crudisti. Più la tribù è piccola e più sarà facile ritrovarsi vicini di tavolo, riconoscersi, scambiarsi ricette e recensioni, ma anche un po' la propria visione del mondo.

Mangiare a casa del cuoco

Spin off del filone è il ristorante casalingo.

Ottimo in viaggio perché ci si trova a mangiare a casa altrui per una full immersion nei sapori ma anche nella cultura locale (ormai le cene con i «locals» sono organizzate anche dagli alberghi, insieme ai tour dei monumenti). Spesso si tratta di cuochi amatoriali più che professionisti ma è un altro modo, meno ortodosso e più da sharing economy, per socializzare nel modo più diretto: col cibo.

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