Il merito delle donne

Sempre più "le" dirigenti. Nel mondo scientifico il sorpasso sugli uomini è già realtà. Le quote rosa? Non servono, se si premiano le capacità

Il merito delle donne

Il camice non ha colore. Nè genere. Se lo indossi e sei preparato, allora sei un medico con la emme maiuscola, al di là del fatto che tu sia uomo o donna. Nei laboratori, nei reparti, ai congressi pesano la professionalità e l'umanità, non il genere.

Proprio nel settore scientifico - dove non esistono quote rosa imposte dall'alto ma tutto (o quasi) si basa sul merito - le donne hanno la loro da dire. E se il «gender gap» in Italia è duro a morire, almeno in ambito medico la strada sembra spianata per una vera parità. Il numero delle donne medico in Italia è sempre maggiore ed è destinato ad aumentare in fretta fino a superare quello dei colleghi uomini. Già oggi le donne medico con meno di 70 anni sono più dei colleghi uomini, il 50,9% del totale.

Considerando gli iscritti all'Ordine, sotto i 65 anni raggiungono il 55% e sotto i 50 anni toccano addirittura il 60%. In oncologia le donne arrivano al 70% e, nonostante a livello nazionale solo il 15% ricopra posizioni apicali, sono sempre di più le eccezioni. La fotografia delle nuove ricercatrici e dirigenti è stata scattata in occasione della seconda edizione del Award for Women in Academy and Research dell'università del Piemonte.

Come sta scomparendo la vecchia figura del primario barone, così è destinato a sparire il preconcetto per cui una dottoressa sia in gamba perchè mossa dallo spirito della crocerossina, innato alle donne. Ma quale crocerossina? Non basta certo quello per arrivare a guidare team di ricerca internazionale su nuovi farmaci oncologici o per dirigere sperimentazioni cliniche. Non è con la quota rosa che si arriva a dirigere un reparto.

Gabriella Pravettoni - "Anche Veronesi sapeva ragionare con femminilità"

Il premio Award for Women in Academy and Research, il riconoscimento con cui l’Università del Piemonte Orientale premia le donne che più si sono distinte in termini di carriera accademica e ricerca, è stato assegnato a Gabriella Pravettoni, direttrice della Applied Research Division for Cognitive and Psychological Science all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Pravettoni, lei è anche l’unico caso in Italia di psicologa diventata direttrice di un dipartimento di oncologia. «Il mio mentore, Umberto Veronesi, diceva sempre che togliere un tumore da un corpo è facile, molto più difficile è eliminarlo dalla mente. Ecco, l’importanza della psico-oncologia è tutta qui, nella necessità di umanizzare quanto più possibile le cure, non dimenticando mai che con malattie o parti del corpo noi medici abbiamo a che fare con persone». Rispetto al passato sono sempre di più le donne medico, che cosa è cambiato? «Un tempo le donne erano meno portate a puntare sulla carriera e, nei pochi casi in cui accadeva, venivano viste dai colleghi maschi come un potenziale concorrente con cui era facile entrare in conflitto. Oggi tutto questo non esiste quasi più, la collaborazione tra maschi e femmine è molto frequente. E io ne sono la prova provata: per tre anni sono stata responsabile di dipartimento, da quindici sono direttrice di divisione psico-oncologica». Cosa possono apportare le donne medico in più rispetto ai colleghi uomini? «Penso che le donne sappiano gestire al meglio l’affettività delle persone, la loro parte emotiva. Lo stesso Veronesi diceva sempre di avere una grande femminilità, soprattutto nei processi mentali che lo portavano a prendere le decisioni.

Alessandra Gennari- "La marcia in più? Siamo preparate e multitasking"

Alessandra Gennari, professoressa di Oncologia presso il Dipartimento di Medicina traslazionale dell’Università del Piemonte Orientale, ha una carriera che, in altri tempi, sarebbe stata definita «degna di un uomo». Ed è la conferma che la distinzione uomo-donna in medicina non c’è più. Non quando si parla di sostanza e si lavora in team. Alessandra Gennari è stata responsabile del Centro sperimentazioni cliniche a Genova ed è direttore della Struttura di Oncologia del Maggiore di Novara. Siamo in una fase di riscatto delle ricercatrici? «Il ruolo delle donne nella scienza e nella ricerca, non senza fatica, si sta velocemente modificando e sta divenendo finalmente più centrale a beneficio di tutta la comunità scientifica e della società in generale. Ciò vale sia per la didattica sia nella gestione di gruppi di ricerca e anche a livello manageriale». Secondo lei come mai? Dov’è la marcia in più delle donne nel mondo della scienza? «Le donne sanno usare un linguaggio diverso per affrontare con efficacia i problemi, tratto che personalmente considero un valore aggiunto e distintivo. Non è un caso se oggi le laureate sono più dei laureati (il 60%), concludono il loro corso di studi più rapidamente dei colleghi uomini (il 60%) e con voti migliori». Quindi non è solo una questione di preparazione? «La donna di oggi sa essere multitasking, dividendo le energie con efficacia tra accademia, famiglia e una società che sta cambiando rapidamente e che la vede sempre più centrale. Questo suo ruolo si riflette anche nel mondo della medicina e della scienza».

Domenica Lorusso - "Quante di noi al lavoro fino a sera per pura passione"

Risponde al telefono mentre sta guidando. «Mi dia un attimo, mando un messaggio per dire che rimando una call. No, no, non mi richiami, riesco anche a fare tre cose in una volta, sono una donna». E così sintetizza alla perfezione il senso della carriera delle donne in medicina. Domenica Lorusso è responsabile della programmazione della Ricerca clinica al Gemelli di Roma. Si occupa della sperimentazione di nuovi farmaci oncologici e, anche grazie a lei, le donne colpite dal cancro hanno qualche speranza in più. «Questo è l’aspetto del mio lavoro che adoro. Grazie alle ricerche e alle sperimentazioni cliniche più veloci, qualche paziente può farcela». Qual è il valore aggiunto delle donne in medicina? «Vorrei dire subito che il valore aggiunto non sta solo nel rapporto col paziente o nello spirito da crocerossine. C’è molto di più. Noi donne siamo multitasking, gestiamo molto bene le emergenze così a casa così nel lavoro e, nel caos, mettiamo a fuoco le priorità su cui concentrarci molto velocemente». Le dottoresse sono più «secchione» degli uomini? «Dipende. Così come non tutte le donne sono più empatiche degli uomini. Generalmente però la donna è pasionaria. Se crede in un progetto, resta a lavorare anche fino alle dieci di sera. Peccato che una donna brava, in carriera, venga ancora vista come un ostacolo». C’è rivalità? «A un certo livello si. E spesso se gli uomini non possono demolire una donna professionalmente, lo fanno sul piano personale. Se invece non ambisci a un livello alto, non crei problemi e vieni accettata. Ma forse questo accade anche tra uomini».

Annamiaria Colao - "Così insegniamo l’empatia ai colleghi maschi"

Annamaria Colao insegna Endocrinologia e malattie del metabolismo all’università di Napoli ed è direttore dell’unità operativa di Endocrinologia al Federico II. È stata anche segnalata tra i migliori scienziati italiani nel mondo, terza fra gli scienziati donna. A parte la professionalità dei singoli medici, quali aspetti valorizza nel suo team di lavoro? «Cerco molto la squadra. E questa è una caratteristica prettamente femminile: investire molto sulla relazione, considerare i colleghi una seconda famiglia. Il mio team è composto per due terzi da donne e per un terzo da uomini. E anche i colleghi maschi che lavorano con me si lasciano andare ed esprimono liberamente la loro empatia». Dice che nei team di soli uomini accade meno? «Può essere, non lo escludo. Anzi, per dirla in termini da endocrinologa, probabilmente tra soli uomini c’è più rivalità testosteronica». Per fare carriera, una donna rischia di rinunciare davvero a tanto. «Ognuno ha il suo percorso, le sue tappe e le sue difficoltà, a prescindere dal fatto che sia uomo o donna. Io ho potuto partecipare a tante ricerche nuove e ho presentato dati nuovi a tanti congressi in giro per il mondo. L’endocrinologia è una branca della medicina recente, ha una cinquantina di anni, quindi ogni cosa è una scoperta ed è stato entusiasmante partecipare a tanti studi».

Essere donna è stato un ostacolo o no? «Al di là delle questioni di genere, mi ha aiutato una mia caratteristica: la lungimiranza. Un po’ ce l’hanno tutte le donne, chi più chi meno. Saper guardare avanti è fondamentale».

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