
La sveglia c'è stata, la completa unità d'intenti non ancora. È un'Europa più forte ma non del tutto compatta quella che esce dal vertice di Londra. Tolte le ovvie e previste voci contrarie a prescindere (l'Ungheria di Orbán e la Slovacchia di Fico, legate a doppio filo con Mosca) c'è la chiara voglia di fare la differenza e porre fine al conflitto in Ucraina ma l'Europa continua ad andare avanti a tentoni. «Una tregua può avvenire solo come parte di un accordo di pace comprensivo, qualsiasi accordo deve essere accompagnato da garanzie di sicurezza solide e credibili per l'Ucraina», si legge nell'ultima bozza di conclusioni del vertice straordinario Ue sulla difesa di giovedì prossimo. «Non ci possono essere negoziati sull'Ucraina senza l'Ucraina», la sintesi e il fulcro di ogni trattativa.
Quel che è certo, come confermato dall'attivissimo premier britannico Keir Starmer, è che c'è accordo sugli aiuti all'Ucraina e le sanzioni alla Russia, mentre la cosiddetta «coalizione dei volenterosi» per garantire la pace grazie a un contingente militare da inviare a Kiev, continua a riscuotere perplessità tra molti dei 27. In virtù della volontà di arrivare una pace duratura, la proposta francese di una tregua di un mese sembra però già saltata. «È un'opzione sul tavolo ma l'accordo deve essere duraturo, deve essere sostenibile e deve garantire che l'Ucraina abbia capacità difensive significative», spiegando da Downing Stret sancendo già la prima crepa e dimostrando che l'accordo non è poi così vicino.
Starmer ha precisato però che «non ogni nazione si sentirà in grado di contribuire alla coalizione, ma questo non può significare che ce ne rimaniamo seduti: al contrario, quelli che vogliono intensificheranno adesso i piani, con reale urgenza». In molti però frenano e temono che le iniziative nazionali mettano di fatto all'angolo la centralità operativa della stessa Unione europea. Da una parte è palese la voglia di «trovare quei Paesi in Europa che sono preparati a spingersi più in avanti, piuttosto che muoversi al passo di ogni singolo membro, di ogni singolo Paesi in Europa, che sarebbe alla fine un passo lento», come ha detto Starmer. Dall'altra però si rischia di procedere ancora di più in ordine sparso e senza una cabina di regia unitaria.
Se prevarrà il vecchio carrozzone di Bruxelles, a patto di trovare un'unità vera, o un'Europa nuova basata su un paradigma più snello e concreto in grado di fronteggiare l'emergenza, è ancora presto per dirlo. La sveglia, in ogni caso, è suonata. E in modo o nell'altro il Vecchio Continente dovrà svegliarsi.
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