Mezzo governo sale sul palco. Tajani: "Al Giornale per libertà"

Il vicepremier: "Lasciai la Rai per seguire Montanelli". Salvini dedica l'autonomia a Daniele Vimercati, storica firma del nostro quotidiano. Il saluto di La Russa

Mezzo governo sale sul palco. Tajani: "Al Giornale per libertà"
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Tre presidenti sul palco del Portrait. Quattro con Giorgia Meloni che ormai fa gli onori di casa. Alessandro Sallusti ha appena finito di intervistarla e lei ha ricordato che «negli anni Novanta, non nel '74, girare per alcune facoltà della Sapienza con il Giornale» non era un fatto che passava inosservato. Gli insulti erano a portata di mano.

Sallusti chiama Ignazio La Russa, presidente del Senato, e i due vice di Palazzo Chigi, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Il direttore del Giornale scherza: «Tajani è un giornalista prestato alla politica». Lui si racconta: «Ero il conduttore del gr1 Rai e nel 1983 mi sono licenziato per andare al Giornale di Indro Montanelli. Una scelta controcorrente. Una scelta di libertà».

Certo, il giornalismo era una passione ma la politica ancora di più, come una vocazione, e a un certo punto è cominciata un'altra carriera, sotto i riflettori, quella che tutti conoscono.

Tocca a Matteo Salvini: «Sono giornalista in aspettativa non retribuita», spiega e aggiunge a scanso di equivoci: «Mi retribuisco in altro modo». Cinquant'anni e un nome che è subito sulle labbra: «Daniele Vimercati, un grande giornalista», scomparso troppo presto. Il ministro delle infrastrutture per un attimo si commuove: «Dedico a lui l'autonomia differenziata che dopo trent'anni è legge».

«Io non sono giornalista- previene tutti La Russa - Ho fatto l'avvocato e ho pure difeso vittoriosamente il direttore».

Anche il presidente del Senato però si scopre in qualche modo uomo di comunicazione: «Nel 1976, dopo aver ascoltato e studiato Radio Popolare», l'emittente della sinistra extraparlamentare, «fondai Radio University, che fu la prima di centrodestra e la seconda impegnata politicamente nel Paese. All'epoca facevo tutto e ancora oggi qualcuno riconosce la mia voce di speaker. La domenica - aggiunge la seconda carica dello Stato dialogando con il Giornale - tenevo il dibattito che iniziava quando mi svegliavo la mattina e finiva nel pomeriggio, quando le telefonate si diradavano».

Trasmissioni interminabili, in un'epoca pionieristica. Il presidente del Senato saluta al microfono il governatore della Lombardia Attilio Fontana e il ministro del turismo: «Vedo che Daniela Santanchè si sta appoggiando, forse non ce la fa più, è ora di chiudere».

Risate e brindisi. Onorevoli sparpagliati qua e là nel giardino, con una coppa in mano. Andrea Ruggieri conversa con Gigi Bisignani, poi saluta Nicola Porro e Mike Pompeo che stanno per salire sulla pedana, in uno speech più in inglese che in italiano.

Paolo Berlusconi che ha parlato all'inizio saluta in una staffetta ideale Giampaolo e Antonio Angelucci, gli editori di oggi.

Matteo Piantedosi resta silenzioso ma le telecamere braccano il ministro dell'Interno che vorrebbe soffermarsi sull'epopea del Giornale, ma in pochi secondi la conversazione torna sulla tragedia di Cutro: «È stato un momento dolorosissimo ma questa terribile sciagura ci sprona a dare la caccia agli scafisti e a sradicare l'industria criminale che tiene in schiavitù migliaia di persone».

Direttori e generali si siedono per uno spuntino. Peccato manchi, al gran completo, il potere giudiziario di rito ambrosiano. Nessun magistrato avvistato nel perimetro del Portrait. E assente anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Lo aspettavamo. Si rivede invece Angelino Alfano che ormai ha lasciato la politica, e molti volti del Palazzo.

Da Licia Ronzulli a Massimo Corsaro e Gabriella Giammanco. Giorgia Meloni riceve un mazzo di rose e una scultura per il mezzo secolo del quotidiano. La stessa che è stata data al Papa e al Presidente della repubblica. Una lunga celebrazione, prima di ripartire verso il domani.

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