È il buco nero della Libia. Un buco nero in cui l'Italia sta perdendo ogni ruolo e non riesce più né a controllare i flussi migratori, né a difendere i propri interessi in campo energetico. Un buco nero che rischia di diventare la maledizione di qualsiasi futuro governo e sancire la nostra irrilevanza geopolitica. Il primo a saperlo è Mario Draghi che non a caso iniziò proprio da lì la sua politica estera. Il Presidente del Consiglio ci arrivò il 6 aprile del 2021, meno di due mesi dopo l'insediamento a Palazzo Chigi. La sua prima visita all'estero rispondeva ai piani intessuti su quell'orizzonte atlantista a cui aveva promesso fedeltà fin dall'investitura. I piani, concordati con Washington, puntavano a rilanciare l'Italia come potenza di riferimento nell'ex-colonia e contrastare l'espansionismo di Turchia e Russia nel Nord Africa e nel Mediterraneo. Dietro l'Italia doveva muoversi un'Europa pronta a finanziare la ricostruzione sottraendo i vari potentati libici all'influenza di Ankara e Mosca. Sul fronte geopolitico e strategico i 27 dovevano far causa comune con un Eliseo pronto a rinunciare all'alleanza con Haftar e alla rivalità con Roma per fermare l'avanzata dei gruppi alqaedisti e dei trafficanti in movimento sulle rotte del Sahel.
Diciassette mesi dopo di quei piani non esiste più l'ombra. E l'Italia ne paga le conseguenze. Di questo passo gli sbarchi di migranti supereranno quota centomila entro la fine dell'anno riportandoci ai livelli del triennio 2014/2016. Ma quello è solo il sintomo più evidente del disastro destinato a restar in carico al futuro governo. Il piano di ricostruzione della Libia s'è dissolto a dicembre quando l'Onu non ha saputo garantire, nonostante il sostegno di Usa ed Ue, lo svolgimento delle elezioni presidenziali essenziali per la riunificazione del paese. A metà febbraio al fallimento politico ed economico s'è aggiunto quello strategico. A innescarlo è stato il fiasco del Mali dove Parigi è stata costretta al ritiro da un governo di Bamako pronto a preferirgli la protezione di Mosca e dei contractor russi della Wagner. Con la ritirata francese sono saltati tutti i piani di contenimento della penetrazione alqaedista e dei traffici affidati ad una forza militare europea (Task Torce Takuba) a cui partecipavano le forze speciali italiane. E il colpo fatale l'ha inferto il conflitto in Ucraina. Da quel momento Ue ed Usa hanno dimenticato ogni impegno mentre la Francia s'è limitata a preservare i propri interessi.
Ma in Libia i grandi sconfitti siamo, ancora una volta, noi italiani. La rinuncia al controllo delle rotte del Sahel ha riaperto le cateratte che sospingono centinaia di migliaia migranti dall'Africa subsahariana verso la Libia. Migranti che ora possono anche dribblare l'ultimo scampolo d'influenza italiana garantito da una Guardia Costiera di Tripoli finanziata e attrezzata dall'Italia. Fermandosi nei porti della Cirenaica possono non solo risparmiare mille chilometri di deserto, ma anche beneficiare della disponibilità del generale Khalifa Haftar. Un generale pronto a chiudere un occhio sulle partenze dai propri porti pur di compiacere una Russia che ha inserito l'Italia nella lista dei paesi ostili. Ma quello è solo il lato più evidente del buco nero che sta inghiottendo l'Italia. L'altro, non meno devastante, è l'esclusione da tutte le gare per i pozzi off-shore ormai monopolio delle compagnie di Mosca e Ankara. Per non parlare delle sempre più incerte forniture legate a Greenstream il gasdotto che un tempo soddisfaceva il 12 per cento del nostro fabbisogno e oggi supera a malapena il tre.
Il tutto mentre la nostra ex-colonia diventa sempre più l'inviolabile scrigno di Russia e Turchia nemiche sul terreno, ma alleate nel chiuderci le porte in faccia. Una debacle che rischia di trasformare la vecchia «quarta sponda» in un paradiso perduto.
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