È un conflitto in cui il dittatore Lukashenko attacca, sotto lo scudo russo, ma Varsavia ne approfitta per giocare la sua partita con l'Unione Europea. Ecco l'analisi, in sintesi, sullo scontro in corso al confine tra Bielorussia e Polonia, di Eleonora Tafuro Ambrosetti dell'Osservatorio Russia di Ispi, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.
Perché è una «guerra ibrida»?
«Perché c'è un uso di mezzi non militari per raggiungere scopi politici contro un avversario. Si sfruttano, per esempio, le fratture sociali di un Paese rivale, incitando rivolte nazionalistiche, una diffusa xenofobia e la paura degli immigrati. È quello che sta facendo la Bielorussia, che sfrutta il sentimento anti-migranti della Polonia».
Lukashenko minaccia di interrompere il transito di gas verso l'Europa. Migranti ed energia sono le nuove armi dei regimi autocratici o autoritari?
«Non sono nuove ma saranno le più utilizzate d'ora in poi».
Lukashenko è regista di questa strategia? O lo stratega è a Mosca, come accusa la Polonia?
«Lukashenko non agirebbe se non si sentisse forte dell'appoggio russo, magari non concretamente su questa questione ma rispetto al processo di integrazione tra le economie di Russia e Bielorussia, arrivato nei giorni scorsi a una nuova tappa. Capito dove Putin si sarebbe schierato, Lukashenko si sente molto più al sicuro. Anche rispetto a nuove sanzioni europee».
In che modo?
«Se guardiamo ai partner economici e commerciali della Bielorussia, i principali sono Russia, Ucraina e Cina. Ci sono anche partner europei, certo, e la Polonia è tra i maggiori, ma il grosso dell'export della Bielorussia è con i Paesi dell'Unione Economica Eurasiatica, di cui la Bielorussia fa parte».
Putin soffia sul fuoco o punta a offrirsi come mediatore?
«Per ora sembra solamente interessato a criticare la Ue e soprattutto la Polonia. Le accuse del premier polacco si iscrivono in un contesto generale di relazioni negative tra Russia e Polonia e tra Russia e Ue. La Polonia spinge per un approccio molto duro contro la Russia per varie ragioni, anche storiche».
La Polonia è vittima tout court oppure ha delle responsabilità?
«Dobbiamo leggere la crisi anche alla luce dello scontro tra Ue e Polonia sullo stato di diritto e sui fondi europei. La crisi serve alla Polonia come arma politica interna, per mostrare ai propri cittadini che la Ue li ha abbandonati. Ma che la Polonia abbia rifiutato l'aiuto di Frontex, i cui uffici sono in Polonia, è emblematico. Tra Ue e Varsavia c'è disaccordo. Il governo polacco voleva costruire un muro, ma per l'agenzia europea dare risorse per una barriera è problematico».
La crisi è utile alla Polonia tanto quanto alla Bielorussia?
«Potrebbe essere un ulteriore elemento di distrazione per il sovranismo polacco rispetto alle problematiche interne. A cominciare dalla legge sull'aborto, una delle misure più criticate non solo dall'Ue, ma dall'opinione pubblica polacca».
L'Ue non esclude di finanziare muri. La difesa dei confini esterni è il tema caldo?
«Lo è sempre stato. Ma la Ue soffre di questa schizofrenia. Si pone come paladina dei diritti umani e allo stesso tempo cerca l'immagine di fortezza impenetrabile. In ogni caso, rispetto alla rotta balcanica, i migranti in Polonia rappresentano cifre irrisorie».
C'è chi sospetta un ruolo della Turchia, visto il
coinvolgimento della Turkish Airlines nel trasporto dei migranti.«Credo si tratti di un business, di aziende che fanno i propri interessi. Non credo che il governo turco abbia un ruolo ma nessuno può averne la certezza».
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