Migranti, l'Ue si divide. Meloni media, non basta: il no di Polonia-Ungheria agita la destra europea. Ok all'intesa con Tunisi

L'enfasi con cui giovedì Giorgia Meloni aveva annunciato una "intesa memorabile" sui migranti si va dissolvendo

Migranti, l'Ue si divide. Meloni media, non basta: il no di Polonia-Ungheria agita la destra europea. Ok all'intesa con Tunisi
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L'enfasi con cui giovedì Giorgia Meloni aveva annunciato una «intesa memorabile» sui migranti si va dissolvendo, ora dopo ora, durante una lunga due giorni di trattative. Non porta consiglio la notte di confronto all'Europa building e non sblocca lo stallo neanche la colazione di lavoro di ieri mattina all'hotel Amigo, incontro cui partecipano - tra gli altri - la premier italiana, il francese Emanuel Macron, il tedesco Olaf Scholz, lo spagnolo Pedro Sànchez, l'olandese Marke Rutte e il polacco Mateusz Morawiecki. L'ultimo tentativo di mediazione, invece, lo fa a metà mattina proprio Meloni, che nella sede della delegazione italiana presso il Consiglio europeo prova senza successo a convincere Morawiecki e l'ungherese Viktor Orban.

Niente da fare. Quella che doveva essere una «intesa memorabile» si trasforma in una vera e propria paralisi politica. Perché Polonia e Ungheria non danno il via libera alle annunciate conclusioni del Consiglio Ue sulla parte che riguarda il ricollocamento tra Stati membri (l'accordo tra i ministri dell'Interno dell'Ue prevede di pagare 20mila euro a migrante per chi si rifiuti di accoglierli). Così il punto in questione viene stralciato dalle conclusioni finali del Consiglio e fatto proprio da quelle della presidenza (un escamotage diplomatico per evitare di formalizzare la rottura). In verità, dal punto di vista fattuale non cambia nulla, perché - spiega il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel - il Patto sull'immigrazione «è già stato approvato» a Lussemburgo tre settimane fa.

Politicamente, però, la fotografia che rimbalza da Bruxelles al termine del Consiglio Ue è quello di un'Europa divisa sul dossier migranti. Con l'asse che fa capo alla destra sovranista europea che si incrina e una frattura all'interno dello stesso partito dei Conservatori riformisti (di cui Meloni è presidente e i polacchi del Pis sono la principale forza). Nel trilaterale con Morawiecki e Orban, infatti, la premier non riesce a smuovere di un passo i suoi alleati. D'altra parte, il leader polacco è già in modalità campagna elettorale e con le elezioni nazionali in programma in autunno non può permettersi cedimenti su un tema che per il suo elettorato è centrale. Meloni ne è ben consapevole e, peraltro, anche l'Italia sta prendendo tempo sulla ratifica del Mes, sia per utilizzare il dossier come strumento negoziale sia perché sul punto gli elettori di Fdi e Lega sono particolarmente sensibili. Così, nonostante la mediazione a vuoto, la premier non prende le distanze né da Morawiecki, né da Orban. «Non sono mai delusa da chi difende i propri interessi nazionali», dice durante un punto stampa. Anche perché, osserva, «la questione che pongono non è peregrina, visto che Polonia e Ungheria sono le due nazioni che in Europa si stanno occupando di più dei profughi ucraini».

Meloni preferisce invece guardare il bicchiere mezzo pieno. E si dice «soddisfatta» dall'esito del vertice e, soprattutto, del «ruolo da protagonista» giocato dall'Italia. Anche se qualcuno gli contesta la scelta di essersi intestata una mediazione destinata a fallire, una mossa «politicamente sbagliata». In verità, proprio in nome dei suoi buoni rapporti con Varsavia e Budapest, sarebbe stato lo stesso Michel, a nome di tutto il Consiglio, a chiedere il suo intervento. La premier, poi, si dice particolarmente contenta del consenso ricevuto dagli altri Paesi sulla proposta di partenariato con la Tunisia che «può diventare un modello». Più di tutto, rivendica di aver fatto cambiare approccio all'Europa sull'immigrazione, portando l'attenzione sulla «dimensione esterna» e non su quella interna, ossia quella della «solidarietà obbligatoria» o dei ricollocamenti che sono esattamente i punti contestati da Polonia e Ungheria. L'obiettivo, aggiunge, è «fermare l'immigrazione illegale a monte» e «farlo con un partenariato strategico con i Paesi africani», una strada che sarebbe «utile anche per l'Africa».

Infine, il fronte economico. «Ci eravamo presentati - spiega - chiedendo pari condizioni per i Paesi con meno spazio fiscale, vale a dire la flessibilità dell'uso dei fondi esistenti. Oggi nelle proposte della Commissione questo elemento è presente. Tra Pnrr e fondi di coesione, per l'Italia vuol dire 300 miliardi di euro che possono essere meglio spesi».

E a proposito del Recovery, Meloni nega che l'erogazione della terza rata si stia ulteriormente complicando: non si è «aggravata», anzi «stiamo lavorando bene». Anche se, ormai arrivati a luglio, la Commissione Ue non ha ancora sbloccato la terza tranche.

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