Migranti, la nuova strategia "italiana"

Passa la linea Meloni: "Il primo diritto è non migrare". Sostegno e sviluppo in Africa

Migranti, la nuova strategia "italiana"
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Nella regione del Sahel, punto nodale per la partenza e il transito dei migranti che si muovono verso l'Europa, la situazione umanitaria e politica è estremamente precaria, così come lo stato dei diritti umani e della sicurezza. I gruppi armati legati ad Al Qaida e allo Stato Islamico intensificano gli attacchi contro i civili, mentre le forze governative di Mali, Niger e Burkina Faso commettono abusi sistematici durante le operazioni di contro-terrorismo.

Questo accade quotidianamente, persino mentre i leader del G7 decidevano attorno a un tavolo una strategia per il Continente Nero e la delicata questione dei flussi migratori. Nella piccola Fasano i grandi della terra hanno espresso apprezzamento unanime per la scelta della presidenza italiana di introdurre, per la prima volta, la questione migranti a un G7. Per l'Italia è necessario che i leader mondiali si facciano portavoce a livello internazionale di una strategia nuova che si dovrà sviluppare su diverse direttrici, partendo dalla lotta ai trafficanti di esseri umani che alimenta l'immigrazione illegale e rappresenta una nuova forma di schiavitù.

Per Giorgia Meloni occorre «concentrare gli sforzi per garantire il primo dei diritti, quello a non dover migrare, potendo trovare nella propria terra adeguate condizioni di vita. Questo obiettivo presuppone la necessità di costruire un modello di cooperazione con le nazioni di origine e transito dei flussi migratori». Le linee guida, messe nero su bianco su un documento globale di 36 pagine, sono state tracciate, ma nella dichiarazione finale del G7 emerge la preoccupazione «per il deterioramento della situazione della sicurezza nel Sahel, causa di miseria diffusa e sfollamento della popolazione civile». I leader mondiali sostengono di essere ansiosi «di rafforzare la cooperazione con l'Unione Africana, con le organizzazioni regionali e l'Onu nel promuovere stabilità, sicurezza, buon governo e sviluppo». Un impegno che coinvolgerà anche le forze di polizia internazionali.

Sarà comunque un lavoro ciclopico, reso complicato da un'instabilità che sta contagiando buona parte del Continente Nero. Da quasi un anno ad esempio in Sudan imperversa un violento conflitto. Le due principali forze militari, le Forze Armate sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), hanno ucciso migliaia di civili, violentato donne, distrutto infrastrutture e causato migliaia di sfollati che si dirigono a nord.

Sul fronte dell'Etiopia, i leader del G7 hanno accolto con favore la riapertura del dialogo per il cessate il fuoco in Tigrai, ma tale dialogo non ha messo fine agli abusi. La pulizia etnica dei Tigrini continua, così come le gravi violazioni da parte delle forze eritree, alleate del governo etiope in una guerra che dura ormai da due anni e genera altre migrazioni. Importante il ruolo di mediazione che potrebbe svolgere il presidente del Kenya William Ruto, ieri protagonista di un faccia a faccia con Papa Francesco.

La violenza jihadista si sta espandendo verso i paesi della costa dell'Africa occidentale, come Benin, Ghana, Togo e Costa d'Avorio.

Serve inoltre, e se n'è discusso al resort Borgo Egnazia, l'adozione di misure efficaci di salvaguardia dei diritti umani in Mali, Burkina Faso e Niger come condizione per riprendere a cooperare con le forze militari della regione in materia di sicurezza.

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