Ha partorito in mezzo agli stracci, in un capannone nella periferia di Milano. E subito dopo ha chiamato l'ambulanza per avere assistenza. La donna, 37 anni, senzatetto, si è lasciata identificare dai carabinieri e non ha nemmeno voluto dare un nome alla bambina che ha messo al mondo. L'ha affidata ai medici dell'ospedale Buzzi: «Tenetela voi». E appena ha potuto se ne è andata. Sicuramente soffrendo. Avrà 10 giorni per cambiare idea, altrimenti partirà la procedura di adozione.
La storia - di disperazione, di rassegnazione, di pietà - commuove ancora una volta tutta Milano a pochi giorni di distanza dall'abbandono di Enea, il neonato lasciato nella ruota degli esposti della clinica Mangiagalli.
Virate del destino per entrambi i bebè ma con origini ben differenti. Un conto è infatti affidare il bambino alla ruota, nel più totale anonimato, scelta rara (gli ultimi casi risalgono al 2012 e al 2007). Un altro conto è scegliere di non riconoscere il bambino appena partorito. «Questo non accade così di rado - conferma Alessandra Kustermann, storica ginecologa della Mangiagalli - Ci sono molte donne che scelgono di non tenere il bambino dopo il parto. O perché per mesi non si accorgono di essere incinte e superano i tempi per poter abortire. Oppure perchè il bambino presenta gravi disabilità e non se la sentono di riconoscerlo. Ogni donna ha la sua storia».
L'associazione Amici dei Bambini ha cercato di ricostruire il fenomeno dell'abbandono dei neonati, considerando sia quelli non riconosciuti negli ospedale sia quelli trovati nei cassonetti, ai margini delle strade di periferia. E ha calcolato che i bebè rifiutati sono 3mila all'anno. Tuttavia solo in 400 sopravvivono. Magari le madri naturali nemmeno li guardano in faccia, nemmeno li stringono tra le braccia, ma li affidano ai medici. E li salvano, regalando loro la vita e un destino che reputano migliore di quello che pensano di poter offrire. Per altri 2.600 bimbi all'anno non c'è nulla da fare. Spesso vengono trovati morti o quando ormai è troppo tardi per salvarli.
La legge italiana consente il parto in anonimato, ovvero permette alle persone di lasciare il neonato nell'ospedale in cui nasce (è il Dpr 396/2000, art. 30, comma 2) proprio in ragione della sicurezza del neonato, per prevenire abbandoni e morti certe. Il nome della donna che lo ha partorito rimane sempre segreto e, nell'atto di nascita, viene scritto «nato da donna che non consente di essere nominata». Nonostante tale diritto, le cronache si riempiono di storie di donne che partoriscono in segreto, in casa o chissà dove, per lasciare poi bambini con pochi istanti di vita in un cassonetto e per la strada, o che commettono infanticidi.
Si tratta di situazioni estreme e drammatiche che però sono frequenti e dimostrano quanto sia ancora necessario fare informazione sul parto in anonimato, sugli anticoncezionali, sulle interruzioni volontarie di gravidanza. «In aggiunta - sostiene il gruppo Amici dei bambini - ovviamente, è necessario incrementare il numero delle culle per la vita che servono proprio a questo». Non possono esistere dati ufficiali come non possono farsi stime esatte sulle condizioni e sulle motivazioni che spingono le donne ad abbandonare i bambini (invece che a lasciarli nelle culle per la vita): il 73% dei bambini abbandonati sembra essere figlio di donne italiane, il 27% di donne migranti e, in una media grossolana, sembra che ad abbandonare i bambini siano prevalentemente donne tra i 20 e i 40 anni.
Le minorenni che ricorrono agli abbandoni sono solo il 6%, almeno in riferimento a questi 400 bambini lasciati nelle strutture sanitarie. Secondo Amici dei Bambini, per ogni bimbo salvato ce ne sono altri dieci spariti nel nulla tra discariche e campagne, sepolti dopo essere stati uccisi in casa.
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