L'Olanda è dietro l'angolo. Il passaggio dalle parole (d'odio) ai fatti non è lontano. E nelle piazze italiane già si intravedono le avvisaglie di un'escalation antisemita e anti-occidentale che in altri Paesi è già dilagata. «Applausi ai ragazzi di Amsterdam» sono stati invocati ieri al corteo di Milano, una manifestazione che con mille repliche è andata in scena ogni sabato negli ultimi 13 mesi dopo il 7 ottobre.
Hanno commemorato i capi di Hamas ed Hezbollah, additando come una nemica Liliana Segre. E ieri hanno applaudito le squadracce «antisioniste» in azione in Olanda. «In questi giorni abbiamo visto come i nostri fratelli ad Amsterdam hanno agito contro il sionismo - hanno gridato al megafono - Questa è la solidarietà. Anche noi in Italia (...) dobbiamo agire nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle manifestazioni, in ogni spazio. Bisogna agire ora, non domani».
Ora e qui, dunque. E in Italia i massacri del 2023 vengono già minimizzati se va bene, dai collettivi di sinistra e dai gruppuscoli politicizzati delle tende universitarie. E la «resistenza» palestinese (armata) è esaltata come una riedizione dell'epopea resistenziale, quando invece Hamas è un movimento animato da sentimenti e pratiche integraliste e omofobe.
L'ex leader delle moschee milanesi Davide Piccardo dopo il 7 ottobre ha teorizzato il dritto alla resistenza palestinese. Anni fa commentò compiaciuto («è finita la pacchia») la notizia di un assalto a una sinagoga parigina. Venerdì mattina ha sorriso: «Tifo Ajax sin da bambino».
La «Palestina globale» è l'illuminante categoria ideologica del radicalismo occidentale. E richiede un «antisionismo militante» a tutte le latitudini. I fiumi sono in piena e non si va troppo per il sottile: antagonisti ed epigoni dell'islam politico si trovano fianco a fianco, nelle piazze o nelle università dove si invitano gli imam.
L'aggressione ad Amsterdam ai danni dei tifosi del Maccabi Tel Aviv? «Se la sono cercata» sostiene in un post sui social l'ex Br Paolo Persichetti. Senza argini, si rischia di passare dalle parole ai fatti. Nei Paesi Bassi, la follia che si è scatenata nella notte dopo la partita Ajax-Maccabi Tel Aviv ha lasciato un segno di inquietudine, tanto da indurre il re Willem-Alexander a chiedere scusa con una certa solennità, al telefono, al presidente israeliano: «Abbiamo deluso la comunità ebraica dei Paesi Bassi durante la Seconda Guerra mondiale, e la scorsa notte abbiamo fallito di nuovo». E mentre la «civile Olanda» si dilania e si interroga sulle dinamiche migratori e ideologiche che hanno stravolto la sua identità, tanto da trasformare in un «pogrom» una partita di calcio fra la squadra nel ghetto, e la formazione di Tel Aviv, anche l'Italia pare avviata allo stesso destino.
Senza argini il destino è di Paese «importatore» di quell'odio anti-ebraico che in Medio oriente è esploso, e in Europa è strisciante ma non meno insidiosa. In Francia, dove interi quartieri ad alta immigrazione sono sottratti alle autorità, i bambini ebrei praticamente non possono frequentare le scuole pubbliche, e molte famiglie hanno deciso di tornare in Israele. Ma episodi di odio e ostilità hanno continuato a registrarsi negli ultimi anni anche in Italia.
Basti pensare al corteo con i centri islamici sfociato nelle grida jihadiste e antisemite in una piazza milanese cinta di bandiere rosse o ai cori «uccidiamo gli ebrei» dello scorso anno. E anche il 25 aprile gli ebrei sono stati aggrediti. «L'odio antiebraico tracima in odio contro tutto l'Occidente - avverte Davide Romano, direttore del Museo della Brigata ebraica - Se vogliamo che anche in Europa e in Italia la politica si estremizzi non dobbiamo fare altro che andare avanti così: condannare a parole e continuare a non fare assolutamente nulla di concreto per prevenirli.
Servirebbe un'unità nazionale contro tutte le violenze, e dei piani concreti per combattere le culture d'odio che coinvolgano il mondo della formazione e dei media. Ormai le parole antisemite e anti-occidentali non fanno neppure più notizia. E Amsterdam è sempre più vicina».
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