Un voto decisivo. Sicuramente per gli equilibri interni al M5s, forse per la tenuta del governo. Con lo psicodramma sulla riforma del Mes che è diventato l'ennesimo regolamento di conti tra i grillini, un'arma in vista della votazione della nuova leadership collegiale. E così un'altra giornata di mediazione in teleconferenza è diventata l'occasione per accendere la miccia dello scontro tra la stragrande maggioranza dei «governisti» e quella che nel Movimento viene definita la «minoranza rumorosa». Un coagulo di ortodossi, ribelli e scontenti. Il pallottoliere del Senato conta al momento sempre cinque o sei voti contrari, più qualche altra defezione di chi non se la sentirà di dire sì alla riforma dell'ex Salva-Stati e preferirà uscire dall'Aula. In tutto una decina di voti mancanti. Ininfluenti quelli di chi non prenderà parte alla votazione, non più considerati alla stregua di un No. I nomi dei frondisti sono sempre gli stessi. Muro contro muro ieri da parte dei senatori Barbara Lezzi (nel tondo) e Mattia Crucioli. Che, insieme ai deputati Alvise Maniero e Francesco Forciniti, hanno chiesto di nuovo un rinvio della riforma. La «conditio sine qua non» contenuta in un documento che sta girando tra i ribelli ancora sulle barricate, pronti a trasformare il testo in una risoluzione alternativa a quella di maggioranza.
La mediazione dei circa 60 parlamentari al lavoro sulla proposta di risoluzione corre su un sentiero molto stretto. Il M5s punta su una netta distinzione tra la riforma del Mes e l'attivazione dell'ex Fondo Salva Stati. Anche se è impossibile mettere nero su bianco la promessa di non utilizzare mai il Mes. «Parlate tutti della nostra trattativa interna, ma non dimentichiamoci che mediamo anche con il Pd e Iv», dicono sospirando i pentastellati che lavorano al dossier. E infatti la stringatissima e vuota risoluzione sul Mes, poche righe concordate con i dem e Leu per non far deflagrare il dissenso nel M5s, è stata già rispedita al mittente dai renziani.Sul fronte interno, i bersagli del regolamento di conti sono sempre Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista. La minaccia di espulsioni per chi voterà contro e l'aut aut di Luigi Di Maio «a non portare Conte sul patibolo» (ieri ribadito con un: «Chi sta provando a dividerci su questo tema agisce con l'intento di far cadere Conte e il governo») rientrano in una dinamica prettamente interna. Con la lotta strisciante per la composizione della nuova segreteria del M5s. Lo stato maggiore si è rassegnato a perdere per strada qualche parlamentare, pur di accelerare la mutazione genetica dei Cinque Stelle. Una partita sul filo del rasoio, dati i numeri risicati dei giallorossi al Senato, ma funzionale a prendere il controllo del Movimento. Di Maio è preoccupato dalle mosse di Casaleggio.
Si veda il corso anti-Mes su Rousseau e la lotteria dei «mi fido» sulla stessa piattaforma, che sta assegnando un botto di like a Dibba. E se prima o poi Conte dovesse saltare, i governisti sarebbero pronti a dare la colpa di fronte alla base al guru e al Che Guevara di Roma Nord.
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