Il mio calvario tra ostacoli e scartoffie. Dare famiglia a un bebè è utopia

Il nostro cronista racconta il suo iter (finito in nulla) per poter adottare un figlio: "Mi dissero subito di scordarmi l'adozione nazionale". Colloqui con psicologi fissati a orari impossibili, burocrazia bizantina, ritardi infiniti

Il mio calvario tra ostacoli e scartoffie. Dare famiglia a un bebè è utopia
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L'adozione di una creatura che non è sangue del tuo sangue riflette sempre un atto d'amore, ma le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria devono essere pronte ad un'odissea.

Anni fa, dopo la gioia del primo figlio e la perdita del secondo durante la gravidanza, ho deciso con mia moglie di aprire le porte del cuore all'adozione. Non sapevamo in cosa ci stavamo imbarcando: un percorso ad ostacoli di controlli, carte e burocrazia farraginosa che sembra fatto apposta per costringerti a gettare la spugna. Non sarà un caso che i dati del 2021 registrano appena 886 adozioni di minori italiani su quasi 8mila richieste in attesa. E nel 2022 sono andate a buon fine 565 adozioni internazionali su 2.382 domande pendenti, che non vedono ancora la luce in fondo al tunnel.

Forse qualcosa negli ultimi anni sarà cambiato e migliorato, ma a naso i genitori adottivi continuano ad avanzare nelle sabbie mobili non solo amministrative. Già la prima valanga di documenti da presentare al Tribunale dei minori ti fa capire che conta più la cavillosa burocrazia che l'amore. Allora, sposati da dieci anni e conviventi dal doppio, abbiamo dovuto presentare pure l'assenso scritto dei nostri genitori, come degli adolescenti. Poi ci è voluto un anno, quando bastava una settimana, per lo scrutinio ai raggi X di psicologi e assistenti sociali, neanche fossimo dei serial killer da far uscire di galera. Anche la figlia naturale è passata sotto le forche caudine di operatori sociali, che come prima cosa ti gelavano: «Per l'internazionale ci vogliono anni. L'adozione nazionale scordatevela. È praticamente impossibile».

Le visite legali, del tutto inutili, perché a malapena il medico ti guardava negli occhi, venivano però sempre fissate in orari impossibili di lavoro. Sembrava quasi un percorso ad ostacoli per mettere la coppia alla prova. Non avevamo dubbi nell'affrontare la mission impossible di accogliere un bimbo abbandonato in Italia. Però abbiamo capito subito che se da Trieste vuoi entrare nelle liste di adozione del tribunale di Catanzaro devi fare la stessa trafila burocratica e così via. Anche inviando la domanda in tutta Italia, l'attesa era fra i 6 e 10 anni. Al primo rinnovo siamo inciampati nelle trappole nascoste della burocrazia: bisognava ripresentarla alla scadenza dei tre anni, ma non dell'accettazione della domanda da parte del Tribunale, bensì dalla data di presentazione. Un'arcigna vestale della burocrazia, con un gusto un po' sadico da azzeccagarbugli, ci aveva già eliminato dalla lista d'attesa con un colpo di penna.

Non domi abbiamo imboccato l'impervia strada dell'adozione internazionale, dove va messo nel conto la possibilità di sborsare fino a 20mila euro per pratiche, abbinamenti e viaggi. Una delle Onlus riconosciute ci ha sottoposto a un secondo esame psicologico, morale ed economico. All'inizio avrei voluto un figlio afghano perché ne avevo visti tanti mutilati dalle mine o costretti a mendicare un tozzo di pane agli angoli di strada come orfani di guerra. I paesi musulmani non consentono adozioni agli «infedeli», anche se l'Afghanistan è la mia seconda patria raccontata tante volte sul Giornale dal 1983 ad oggi.

Allora abbiamo scelto la Colombia, che ci era stata presentata come la «Prussia» delle adozioni dal punto di vista della serietà e correttezza. Quando stava arrivando il nostro turno nella lunga lista d'attesa il baluardo anti corruzione è crollato con un clamoroso scandalo di mazzette per le adozioni. Tutto bloccato e oramai era passato troppo tempo dall'inizio dell'odissea. Quando ho superato i 50 anni mi sono detto che non potevo essere il nonno del figlio adottivo, che rischiava di diventare grande quando sarei stato troppo anziano per fargli da padre. Così la disavventura dell'adozione è finita in nulla per destino, sfortuna e un sistema che sembra fatto apposta per metterti i bastoni fra le ruote.

L'amaro in bocca e la pena nel cuore rimarranno sempre per il bimbo o la bimba sfortunati che potevano trovare, forse non i tre cuori e una capanna delle fiabe, ma sicuramente una famiglia che avrebbe accolto un nuovo figlio con amore.

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