La miseria del campo largo

Il campo largo è l'orizzonte perduto del Pd, quasi un'ossessione, come un desiderio negato da inseguire perché non si riesce a immaginare altro

La miseria del campo largo

Il campo largo è l'orizzonte perduto del Pd, quasi un'ossessione, come un desiderio negato da inseguire perché non si riesce a immaginare altro. Quando la maggioranza Draghi si è accartocciata il pensiero è andato subito lì, d'istinto, quasi a proteggersi dalle insidie che si mostravano d'avanti. Una sorta di luogo della memoria dove far risorgere il vecchio Ulivo, scrostando tutte le disavventure dell'avventura prodiana, come se il tempo avesse reso la sinistra meno litigiosa e raccontando a tutti che solo una grande coalizione avrebbe potuto disinnescare l'arrivo delle destre al potere. L'apocalisse evocata da Enrico Letta non ha funzionato. Il campo dei «buoni» si è ristretto in fretta. Conte e il suo troncone di Cinque Stelle in quel momento erano davvero impresentabili, con la responsabilità di aver acceso la miccia sotto il governo e e l'ambiguità nei confronti di Putin. Nel Pd in realtà più di qualcuno suggeriva di chiudere un occhio, ma Conte si è messo a fare il prezioso, dettando perfino le condizioni, e così alla fine ognuno se ne è andato per i propri passi, tanto che adesso stanno lì a contendersi l'assistenzialismo del Sud. Tutti voti buoni per racimolare qualche seggio in più in un Parlamento dimagrito e con una legge elettorale che nei collegi maggioritari penalizza chi si divide. L'alleanza con Calenda è durata invece un giorno. Il capo di «Azione», macroniano nel cinismo, ha guardato i sondaggi e si è tirato indietro. È così che questa sinistra slabbrata si presenta davanti al voto degli italiani con i pezzi sparsi sulla scacchiera e con l'intenzione di limitare almeno i danni.

A questo punto nel Pd in troppi hanno cominciato a coltivare l'idea di pensare al dopo e spostare l'arrocco dopo le elezioni. Ecco, quindi, la suggestione del campo largo da ricostruire in Parlamento. Per settimane se ne è parlato dietro le quinte, poi Andrea Orlando, ministro del Lavoro e mente tattica del Pd, ha pensato di mostrare le carte, giusto per informare i pochi che ancora non avevano capito. «Se vinciamo faremo un governo con M5s e Terzo Polo». Tanto valeva mettersi d'accordo prima. I possibili interlocutori infatti si sono subito preoccupati. Queste cose non si dicono alla vigilia del voto. Si pensano e semmai si fanno dopo. L'ammucchiata di questi tempi è tabù. Carlo Calenda si è affrettato a rispondere via Twitter. «Non ci pensate proprio». Primo: «Come noto siamo di destra per la sinistra». Secondo: «Il M5S per noi non esiste». Il «centro» per essere un minimo credibile fino al voto non gradisce aggettivi. Il mercato comincia dopo e ogni intesa si paga. Il «centro» non è gratis. Non va meglio con quel che resta dei grillini. Conte se la cava con un è troppo tardi (e è pure troppo presto). «Parlare di campo largo oggi non ha senso».

Tutte queste chiacchiere in realtà sono inutili e non interessano più di tanto gli elettori.

A pensarci non fanno neppure troppo bene alla dignità della democrazia. Qualche cosa però rivelano: il Pd è così disperato che già propone la colletta per i seggi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica