La moda fa "manifesti" ma i vestiti sono muti

Gli stilisti si sentono sempre più intellettuali e le parole prendono il posto delle loro opere

La moda fa "manifesti" ma i vestiti sono muti
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Il mondo della moda ha un problema di comunicazione molto serio: teme di non riuscire a parlare con i vestiti e per dare consistenza alle proprie idee si avvale dei codici interpretativi mutuati dall'arte, dalla musica, dal cinema e perfino dalla politica. Per esempio ieri, prima giornata di sfilate a Milano Moda Uomo per l'inverno prossimo Gucci e Stone Island hanno tirato in ballo il concetto di manifesto inteso come «dichiarazione pubblica che definisce ed espone i principi e gli obiettivi di un movimento e di coloro che hanno deciso di aderirvi». In entrambi i casi, però, lo stile era di facilissima interpretazione, una cosa a prova di scemo. Da Gucci, per esempio, tutto ruotava attorno a una sapiente rivisitazione del classico abbigliamento maschile che da oltre un secolo prevede giacca e cravatta, ma che da qualche anno sta dando segni di stanchezza. Sabato De Sarno, direttore creativo del marchio delle due G, riesce a reinventare questi due caposaldi dell'eleganza da uomo con dei veri e propri esercizi di stile presi dall'alta moda. Il primo riguarda la giacca che all'altezza del punto vita e del gomito ha delle pieghe orizzontali prima pressate e poi aperte per evocare in un capo formale la grinta di un biker da motociclista. Perfetta la giacca a un petto e mezzo con l'allacciatura spostata di lato che enfatizza la linea dei pantaloni più asciutti e moderni del classico modello con le pinces, più nuovi del jeans-seconda pelle di rockettara memoria. Quanto alla cravatta diventa un lungo nastro svolazzante che a volte s'inserisce nella cosiddetta Marina Chain, la catena marinara che è uno dei simboli del brand riportati in auge dal giovane designer napoletano. Gli altri sono la Jackie bag consegnata al mito da Jacqueline Kennedy e qui trasformata in un oggetto del desiderio maschile oltre a una serie di elegantissimi capospalla in cashmere, pelle, strisce di serpente dai diversi colori che formano l'effetto delle righe. Inevitabile a questo punto chiedersi perché lo show si svolga in uno spazio industriale di via Kosenz praticamente fuori Milano e soprattutto identico a quello in cui a settembre si è svolta la sfilata donna. I portavoce della maison parlano di effetto mirroring, ovvero speculare con quello show battezzato Gucci. Ancora in omaggio alla canzone di Mina che anche stavolta chiude la colonna sonora. Pare inoltre che in passerella ci siano cinque uscite della collezione femminile rifatte a misura di uomo ma è difficile riconoscerle nel mare magnum di una bella collezione che pure riceve applausi tiepidi.

Da Stone Island invece non applaude proprio nessuno e tutti sono esasperati da uno spettacolo incomprensibile con un tableau vivant formato da tre piani di ponteggio industriale su cui sono allineati 54 modelli illuminati si fa per dire da giochi di luce che non ti fanno vedere i capi. Ci sono 500 ospiti scomodamente assiepati davanti a questo muro umano su cui la voce del direttore della Serpentine Gallery di Londra che recita il famoso manifesto intitolato The Compass Inside, ovvero la bussola dentro. Un vero peccato visto che Stone Island è un marchio leggendario che in 41 anni di vita ha messo a punto 60 mila ricette cromatiche e fatto capi talmente innovativi da aver creato una community di fan dagli 8 agli 80 anni. Acquistato da Remo Ruffini di Moncler può scrivere adesso un nuovo capitolo di successi planetari senza cadere in queste logiche che Verdone definirebbe del famolo strano. Tutt'altra atmosfera da Cucinelli che continua a seguire la strada maestra del bel vestire e di assecondare questo momento di riequilibrio planetario post covid con il quiet luxury ovvero il lusso senza ostentazione di una giacca fatta come il faut sotto cui un uomo si può mettere quello che vuole. Da Peserico, invece, è di scena una felice rivisitazione contemporanea dell'immagine di Walter Bonatti e della sua solida eleganza montanara.

I classici pullover norvegesi da grande freddo sono però fatti con una mischia di baby alpaca e cashmere che grazie a una speciale lavorazione detta surfilo al primo lavaggio scoppia e si gonfia facendo diventare il golf morbido e leggero oltre ogni dire.

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