Ognuno interpreta come preferisce la Festa della Repubblica, appena celebrata nei suoi 75 anni di esistenza. E non c'è da stupirsi se nella vecchia sinistra, travestita da volti semi nuovi, c'è anche chi si è sentito sollevato dalla mancanza della parata militare, annullata causa Covid per il secondo anno consecutivo. «Trovo la presenza delle Forze armate in una festa come quella della Repubblica ingombrante quanto meno» ha chiosato l'attore e regista Ascanio Celestini, già preoccupato di rivedere il prossimo anno la sfilata dei militari affiancati da sindaci e crocerossine, una paurosa minaccia alla democrazia. Duro a morire il tic di provare fastidio dinanzi alla divisa, anche a quella di un generale di corpo d'armata che sta vaccinando milioni di italiani a tempo di record.
L'annullamento della grande parata tricolore sui Fori Imperiali non ha comunque tolto solennità alla celebrazione di una ricorrenza che mai come quest'anno ha assunto il significato di una ricostruzione post bellica. Solo un anno fa l'immagine di Sergio Mattarella (nel tondo) da solo con la mascherina sull'Altare della Patria era stata vissuta con l'angoscia collettiva da una popolazione frastornata dai bollettini di morte, allontanata dai posti di lavoro e rinchiusa in casa.
Anche quest'anno la sobria cerimonia al Quirinale ha reso irriconoscibili molti partecipanti per l'uso delle mascherine. Ma il distanziamento a Palazzo questa volta non ha trasmesso un'immagine di una classe politica sotto sequestro, piuttosto un adempimento finale di massa prima del «liberi tutti» che prima o poi arriverà. E le parole del capo dello Stato, forse al suo ultimo 2 Giugno da presidente, sono suonate come un inno alla libertà acquisita e non più come ammonimento a rispettare norme e divieti per la salute collettiva.
Anche senza sfilate e cocktail mondani, i 75 anni della Repubblica sono stati resi solenni da una delle feste più emozionanti e coinvolgenti. Mattarella ha parlato ai ragazzi delle scuole, invitati al Quirinale, con una lezione di memoria da parte di un nonno che il 2 giugno 1946 c'era già ed aveva quasi cinque anni. Lui ha visto la ricostruzione dopo le macerie belliche, la tardiva emancipazione delle donne che manco potevano votare, le speranze del boom economico, lo strapiombo del terrorismo, il buco nero del sequestro di Aldo Moro, di cui era allievo.
Mentre gli Ascani Celestini usano una ricorrenza per propagandare paure e fissazioni, il capo dello Stato ha insegnato a tutti i cittadini come la forza delle parole possa cambiare un Paese. Si possono usare frasi per lanciare microscopiche provocazioni di giornata a caccia di notorietà, come per riunire un Paese che non sa ancora come ripartire. Un discorso retorico ben formulato può strappare un applauso, ma non ridare fiducia e conforto. Altra cosa è parlare al cuore di tutti, senza dimenticare le donne che vanno nello spazio come le ragazze che muoiono in fabbrica.
Ci sono voluti tre quarti di secolo, ma ora il capo dello Stato ha indicato la strada verso uno spirito repubblicano. Mai come oggi le semplici parole di tutti possono chiudere decenni di inutili e meschine contrapposizioni.
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