Era l'amante del marito. L'offesa esigeva vendetta. Per questo la fece licenziare, la insultò, la minacciò. Ma per la Procura è tutto normale: delitto d'onore.
La formula che un tempo consentiva di scagionare i mariti dai più turpi reati, consumati in nome della tutela d'una malintesa integrità del talamo nuziale e di una altrettanto discutibile dignità mascolina, torna a vivere sotto femminee spoglie. La notizia arriva da Torino: per la Procura sabauda non deve rispondere di stalking la coriacea signora che per punire il tradimento del consorte mise in moto un meccanismo infernale che costò alla rivale in amore la perdita del posto di lavoro ed un paio di settimane di terrore.
Galeotto fu il nido, inteso come asilo: non passa giorno senza che il maschio fedifrago non vi faccia tappa per accompagnarvi il figlio. Tanta dedizione alla missione paterna insospettisce l'arcigna sposa. Alla fine, a svelare l'arcano, è un messaggio di troppo sul telefonino. Poche parole per un augurio dolce e tenero che porta a galla la tresca tra l'indefesso genitore e la maestra del pargolo. Si scatena il putiferio: l'uomo viene cacciato di casa, la sua complice di scappatelle al tempo in prova nella scuola presso la quale prestava servizio viene messa alla porta dalla dirigente scolastica, una volta appresa (dalla voce di tuono della tradita) l'esistenza della liason. Ma è solo l'inizio: la moglie ferita nell'orgoglio più volte, pur se in maniera fugace, si materializza davanti agli occhi della giovane educatrice. Le augura qualche sciagura, le dà della meretrice. In un'occasione l'affianca in auto e con schiettezza femminile sibila: «Cammina tranquilla, per ora. Ma sappi che prima o poi dirò tutto a tuo marito. Non adesso. Lo farò quando meno te l'aspetti». L'insegnante risponde con una querela per atti persecutori. Ma il pm che tratta il fascicolo ci mette poco a chiuderlo: per lui il comportamento della querelata sarebbe nient'altro che una normale reazione allo shock patito a seguito dell'amara scoperta dell'adulterio. Insomma, il cuore a pezzi sarebbe giustificazione più che sufficiente per escludere l'intenzione di commettere un crimine. Argomentazioni fragili, secondo l'avvocato Anna Ronfani, difensore della querelante: «Abbiamo presentato formale opposizione. Il sentimento dell'indagata sarà anche giustificabile, ma non lo sono le sue condotte. Ci sono dei limiti che non vanno oltrepassati e che la legge non può far passare, aprendo la strada a qualsiasi tipo di reazione».
Perché altrimenti, per analogia, potrebbe ad esempio farla franca anche il tifoso che dopo la sconfitta della squadra del cuore su rigore inesistente fischiato all'ultimo dei minuti di recupero desse libero sfogo alla sua rabbia contro chiunque gli capiti a tiro.Questione affatto banale. Deciderà il gip torinese.
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