Dici «cultura popolare» e viene subito in mente Mogol. Bene ha fatto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano a nominare Giulio Rapetti Mogol consigliere per la cultura popolare. Per confermarne il rilievo simbolico, l'incarico sarà a titolo gratuito e non porterà a compensi di alcun genere. «È un onore avere in squadra un personaggio del valore e del rilievo artistico di Giulio Mogol. Sono sicuro che ci darà un contributo importante in termini di idee e progetti», ha subito commentato Sangiuliano che, con questa scelta, fa seguito alla nomina del direttore Beatrice Venezi come consulente per la musica e rende ancora più difficile l'arrivo di Morgan, che si era in qualche modo candidato al ruolo.
In ogni caso, il valore di Mogol non può essere messo in discussione da nessuno.
Dall'inizio degli anni Sessanta si è consacrato come uno dei motori culturali più popolari e decisivi nella storia italiana della musica, del costume e persino della politica. Come si legge sul suo sito, «con la sua poesia ha contribuito a trasformare la cultura popolare italiana degli ultimi 50 anni, lasciando un segno profondo nella vita di ognuno di noi». Inutile ricordare lo straordinario impatto culturale che hanno avuto le sue canzoni con Lucio Battisti, dei quali stanno per celebrarsi gli ottanta anni. Grazie a brani come Giardini di marzo o Con il nastro rosa hanno portato negli anni Settanta uno dei pochi raggi musicali che fossero apolitici e sganciati dalle logiche ideologiche. Ma in quel periodo chi non si schierava politicamente era di diritto considerato di destra, ossia parte della cosiddetta «maggioranza silenziosa» che non prendeva posizione per la sinistra. Non a caso il dibattito sui «boschi di braccia tese» (dal brano La collina dei ciliegi) Ma Mogol non ha soltanto scritto per Lucio Battisti. Ha dato poesia anche a una straordinaria quantità di grandi artisti, da Tony Renis a Gianni Morandi, da Luigi Tenco a Cocciante, da Mina e Vanoni fino a Renato Zero e Rino Gaetano.
Molti suoi versi sono entrati nel linguaggio comune e persino alcune parole sono diventate di uso comune. Quando lui e Battisti presentarono alla casa discografica il disco Una giornata uggiosa, l'obiezione dei dirigenti fu: «Eh non funzionerà, nessuno sa cosa voglia dire uggiosa». Mai nessuna previsione fu più sbagliata. Qualche tempo fa, proprio al Giornale, Mogol ha raccontato che pochi anni fa era fermo in un'area di servizio e il benzinaio, senza riconoscerlo, ha guardato il cielo e poi ha detto «eh, oggi è una giornata uggiosa». Questo è uno dei significati di «cultura popolare» che questo gigante ha portato avanti nel corso dei decenni. Sempre restando al di fuori delle bagattelle politiche.
Anche ieri, commentando la nomina, ha spiegato: «Non ho cambiato idea rispetto a quello che è il mio interesse verso la politica: non credo ai partiti ma alle persone, alle persone che dimostrano di essere fattive».E su Giorgia Meloni ha precisato: «Ne penso bene, è una persona, una donna, volitiva e competente, studiosa e con la grinta giusta per portare avanti il compito che si è data». Incontestabile.
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