Molestie e discriminazioni. La rivolta delle donne Apple contro l'azienda di Cupertino

Predicano bene, ma agiscono malissimo Il racconto sconcertante delle ex dipendenti

Molestie e discriminazioni. La rivolta delle donne Apple contro l'azienda di Cupertino

Denunce sottovalutate quando non addirittura insabbiate, ritorsioni trasversali e apatia. Le donne di Apple si ribellano a una cultura che le vede, in diversi casi, svantaggiate e discriminate. Una cultura ben lontana da quello che Cupertino aspira pubblicamente ad essere, ovvero una paladina delle donne contro la criticata «bro culture» («culture dei fratelli») della Silicon Valley dove, nonostante i proclami ufficiali, le donne ai vertici si contano in realtà con il lumicino. A ricostruire il dietro le quinte di Apple è il Financial Times sulla base di una quindicina di interviste realizzate con dipendenti ed ex dipendenti, i cui racconti riportano l'attenzione sul fenomeno #AppleToo, emerso come strumento per parlare e far emergere presunti abusi e discriminazioni all'interno dell'azienda di Cupertino. Le storie raccontate descrivono un dipartimento delle risorse umane di Apple - il cosiddetto «People team» - mosso dal voler difendere a tutti i costi la reputazione della società, dall'attenuare i rischi e proteggere i manager cattivi piuttosto che essere un «luogo sicuro» al quale potersi rivolgere nel caso di problemi e denunce. È quanto accaduto, per esempio, ad Orit Mizrachi, dipendente di Apple fino al 2017, che denunciò di essere stata bullizzata dal suo manager per un'assenza dovuta alla malattia del padre e di essere stata travolta dai messaggini a sfondo sessuale di un collega. Denunce «insabbiate» e che hanno portato successivamente al suo licenziamento con una scusa, ha raccontato Mizrachi, sottolineando come la Apple le abbia anche offerto tre mesi di salario e una somma sostanziosa per «presunto stress emotivo» in cambio di un ritiro di tutte le accuse. Un alto esempio è quanto accaduto ad Emily, dipendente di un Apple Store di New York che ha parlato, sotto pseudonimo, con il Financial Times.

Nel 2021 aveva denunciato alle risorse umane di aver subito serie molestie sessuali, incluso lo stupro da parte di un collega. Emily si è sentita trattata come se fosse stata lei il problema: «Mi hanno detto che» il presunto stupratore «sarebbe stato lontano per motivi di lavoro per sei mesi. Forse ti sentirai meglio quando rientrà?». La richiesta di Emily di essere trasferita in un altro Apple Store è stata respinta. Alle dure ricostruzioni Apple risponde mettendo in evidenza di lavorare duramente per cercare di indagare al meglio tutte le accuse e per creare un ambiente di lavoro in cui tutti si sentano a proprio agio nel presentare denunce. «Alcuni dei racconti» raccolti dal Financial Times «non riflettono le nostre intenzioni e le nostre politiche e avremmo dovuto affrontarli in modo diverso. Per questo effettueremo delle modifiche al nostro processo di formazione». Insomma ne emerge un'azienda completamente diversa rispetto a quella comunicata all'esterno fino ad ora.

Il potente marchio è sempre appare come un fulgido esempio di progresso, uguaglianza e gestione illuminata dell'organizzazione del lavoro della gestione di propri dipendenti (donne o uomini che siano). Il Financial Time, invece, tratteggia tutt'altra situazione.

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