Le spalle di Gianfranco Fini, nella giacca a quadri blu, esprimono massima tensione mentre la giudice-presidente legge la sentenza nell'aula di Palazzo Clodio. Condanna a 2 anni e 8 mesi, limitatamente all'autorizzazione della vendita della casa di Montecarlo, poi servita al grande imbroglio dei Tulliani. Le spalle si rilassano, la pm aveva chiesto 8 anni e le accuse più gravi nel processo per riciclaggio sono cadute. Alla fine, quando ha sentito anche della sorte della compagna Elisabetta (5 anni), del fratello Giancarlo (6 anni) e del padre dei due Sergio (5 anni), l'ex presidente della Camera si siede e porta alle labbra una bottiglietta d'acqua con la mano un po' tremante.
«È deluso?», gli chiedono i cronisti e lui riacquista il controllo, si alza, risponde con voce bassa e arrochita: «No, tutt'altro. Non sono stato ritenuto responsabile di riciclaggio, in tutti i capi contestati, l'unico punto trovato per non assolvermi totalmente è l'autorizzazione alla vendita dell'appartamento. Me ne vado più sereno di quello che si può pensare». Poi spiega che quel via libera lui, come leader di An, l'ha dato ma: «Non ho autorizzato la vendita dell'abitazione di Montecarlo ad una società riconducibile a Giancarlo Tulliani, quando ho dato l'ok non sapevo chi fosse l'acquirente». Fra 3 mesi, con la motivazione della sentenza, si capirà se i giudici ritengono che Fini si sia fatto raggirare dai Tulliani, come sostiene anche Elisabetta o in qualche modo abbia capito che l'affare sporco c'era, pur senza conoscere i dettagli. In serata, al Tg1, lui parla di sentenza «illogica», dice che si aspettava l'assoluzione chiesta dall'Avvocatura dello Stato. Riconosce «qualche leggerezza» sulla «maledetta casa» di Montecarlo. Spiega che quando glielo proposero non accettò di «vendere a Tulliani perché mi sembrava fuori luogo», ma poi forse avrebbe dovuto fare più «attenzione, verificare quella società off-shore, ma francamente del senno di poi sono piene le fosse». Sostiene di aver pagato un «prezzo salato a livello umano», mentre a livello politico è convinto che «qualcuno, anche a destra, colse l'occasione per dire basta con Fini».
Gli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno garantiscono che faranno appello perché si aspettavano un'assoluzione piena e sono «fiduciosi che anche quest'ultimo piccolo segmento cadrà». Per Caroleo, Fini ha pagato «un prezzo ingiusto, è stato sottoposto ad un massacro un uomo che ha sempre servito le istituzioni», per Sarno la sentenza è «pilatesca», ma si troverà «un giudice a Berlino».
Due cose l'ex leader di An tiene a dire per accreditare l'idea dell'inchiesta persecutoria e del processo strumentale contro un leader politico. La prima: «Ricordo a me stesso che per analoga vicenda una denuncia a mio carico fu archiviata dalla procura di Roma». L'altra: «È giusto avere fiducia nella giustizia, certo sono passati 7 anni, se fosse un po' più sollecita Dopo tanto parlare, tante polemiche, tante accuse, tanta denigrazione da un punto di vista politico sono responsabile di cosa? Di aver autorizzato la vendita. Non mi è ben chiaro in cosa consista il reato». Caroleo vede «una sovrapposizione rispetto alla stessa vicenda che ora è oggetto di un provvedimento di archiviazione» e si riserva di valutare un'eventuale prescrizione dell'accusa.
Ma lui, Fini, in aula
sembra rilassato. Solo mezz'ora prima della sentenza, uscendo con Caroleo per andare a fumare, rigirava nervoso tra le dita un piccolo sigaro: «Da 30 sigarette al giorno è già un successo, no?». Da 8 anni a 2 e 8 mesi pure...
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