La Russia è sempre più vicina al fallimento. Ieri Moody's ha tagliato il rating sulla Russia a Ca (praticamente l'anticamera del default) confermando le prospettive negative, cioè segnalando che nuove bocciature sono possibili. La stretta sul deflusso di capitali verso l'estero decisa da Mosca, spiega l'agenzia di valutazione, potrebbe limitare la capacità di onorare il debito. Il declassamento è «determinato da gravi preoccupazioni circa la volontà e la capacità della Russia di pagare le obbligazioni», ha evidenziato Moody's, aggiungendo che i rischi di insolvenza sono aumentati.
Mercoledì scorso, infatti, sono state implementate le misure introdotte dalla Banca centrale russa per fronteggiare le sanzioni, in primis l'innalzamento dei tassi al 20 per cento. Esse comprendono lo stop ai pagamenti di dividendi e cedole su azioni e obbligazioni detenute da investitori stranieri, titoli di Stato inclusi. Il problema, tuttavia, è anche un altro: il 20% del debito russo (56 miliardi di euro su 280) è detenuto da investitori esteri. Per evitare il cross default (la dichiarazione complessiva di insolvenza) la Russia ha deciso di pagare i creditori stranieri in rubli al tasso di cambio della Banca centrale presso un istituto russo. Il 16 marzo scadono le cedole di due bond in dollari per 117 milioni (con altri 65,6 milioni lunedì 21).
I regolamenti internazionali, tuttavia, escludono anche che una cedola possa essere onorata in una valuta diversa da quella di emissione, dunque il default «tecnico» (cioè il mancato rispetto di un'obbligazione) è a un passo. Tanto più che i rubli non sono convertibili in Occidente. La Russia è stata, infatti, esclusa dal circuito Euroclear che si occupa di garantire il regolamento delle transazioni in valuta sui mercati internazionali. Dunque, il rublo nei Paesi G7 (e non solo) ormai è carta straccia. Non a caso Gazprom e Rosneft, che hanno due bond da 1,3 e 2 miliardi di dollari in scadenza tra ieri e oggi, hanno assicurato il pagamento in dollari tramite società veicolo situate in Europa.
Ecco perché Moody's ha già scaricato Mosca sottolineando che «al livello di rating Ca le aspettative di recupero del capitale sono dal 35 al 65%». Per gli investitori professionali questo significa far scattare i Cds (acronimo di «credit default swap»), derivati che assicurano i sottoscrittori contro l'insolvenza di un emittente. Il Cds a 5 anni ha già sfondato quota 400: questo significa che coprirsi su 1.000 dollari dovuti dalla Russia a quella scadenza costa più di 4.000 dollari. Il mercato vede il fallimento di Mosca nei fatti: il tasso sui govies russi annuali e biennali è al 24% contro il 19,8% dei decennali. L'inversione della curva dei rendimenti, che si verifica quando le scadenze brevi rendono più delle lunghe, è un altro indizio di default prossimo venturo.
La «modesta» entità del debito pubblico russo (in rapporto al Pil è al 21% circa, dopo l'insolvenza di fine anni '90), tuttavia, potrebbe convincere la Cina a farsi carico dei problemi del vicino, come già sta accadendo. I tre principali circuiti di carte di credito (Visa, Mastercard e American Express) hanno infatti annunciato lo stop all'operatività in Russia come ritorsione per l'attacco all'Ucraina. Le carte emesse all'estero non funzioneranno a Mosca e viceversa.
Il colosso bancario russo Sberbank sta, pertanto, lavorando alla possibilità di emettere carte su Mir, il sistema telematico interbancario attivo in Cina (e alternativo a Swift da cui la Russia è stata esclusa) e gestito da Unionpay. È un segnale di come Pechino non voglia abbandonare Mosca al proprio destino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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