La morte di un padre e il messaggio di altruismo

La lettera che il giornalista di TGcom24 Gian Luca Rocco ha scritto per raccontare la morte del padre ammalato di Covid-19 è struggente.

La lettera che il giornalista di TGcom24 Gian Luca Rocco ha scritto per raccontare la morte del padre ammalato di Covid-19 è struggente. Non c'è soltanto la morte ma anche la tenerezza e la consapevolezza di un affetto vero che l'assenza non potrà scalfire. «Mio padre senza Covid avrebbe vissuto altri vent'anni», «non mi sento nemmeno una persona sfortunata, né posso dire che mio padre lo sia stato. Abbiamo avuto tanto, abbiamo dato tanto». Tra le righe non mancano i riferimenti a una sanità carente quello che commuove è la descrizione di una relazione non perfetta ma spontanea tra due persone con legame inscindibile: «Mio padre era un papà a volte distratto, ma sempre presente. Ci sentivamo ogni santissimo giorno, due parole, giusto per ricordarci che c'eravamo sempre, anche a distanza. Abbiamo fatto tante cose insieme, forse più che tanti altri padri e figli. Abbiamo condiviso gioie e tanto dolore. Non ho rimpianti, non li aveva nemmeno lui, ne sono certo».

Nonostante il lutto, Gian Luca ha scritto una lettera in cui a parlare è la vita: «Mio padre era un medico scrupoloso e attento, era un marito affettuoso, era un nonno orgoglioso, che aveva tante cose da fare e persone da vedere, pazienti da incontrare e nessuna paura della morte». Gian Luigi indossando la mascherina ha continuato a coltivare i suoi interessi, le sue ambizioni lavorative andando in tribunale dove esercitava come psichiatra forense. Era soddisfatto della sua vita e non voleva rinunciarvi nonostante una forma non proprio invidiabile. Gian Luca da questa voglia di vivere ha imparato che non siamo immortali e non si è sfortunati se si muore dopo aver condiviso gioie e dolori, ricevuto e dato amore. Ha scritto questa lettera perché: «Se anche una sola persona che leggerà queste righe, da oggi starà un po' più attenta, si renderà conto che questa malattia esiste e colpisce duro, è spietata con una certa categoria di persone, beh, la morte di mio padre sarà servita a qualcosa in più che riempire una casella di una inutile statistica».

E così ha trasformato il lutto in un gesto altruistico, ha dato un senso alla perdita e superato senza rabbia e rancore l'amarezza di essere stati cosificati dal Servizio Sanitario Nazionale. Quando un paziente diventa una persona senza un figlio che può stringere la mano ed un padre che se ne va, da solo, perché dopo un anno ancora non si è trovato un modo di permettere una visita e un saluto a chi si sta accomiatando, si fatica a pensare alla nostra società come ad una società ancora civile.

Ma noi ricorderemo lo psichiatra che lavorava con passione, che riceveva i pazienti nonostante il Coronavirus, che era un nonno orgoglioso e un marito affettuoso, un padre eccezionale che ha cresciuto un figlio che gli fa onore.

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