È morto Carboni, l'uomo dei misteri italiani. Dal Banco Ambrosiano, a Calvi, fino alla P2

Non c'è storia buia in cui il "faccendiere" non sia stato evocato negli anni

È morto Carboni, l'uomo dei misteri italiani. Dal Banco Ambrosiano, a Calvi, fino alla P2

L'epiteto «faccendiere» non nasce certo con lui, visto che già il 24 febbraio 1877 il Corriere segnalava il rischio che la Camera dei deputati si riempisse «di faccendieri, d'invalidi, di scioperati». Ma è indubbio che Flavio Carboni, morto ieri all'età di novant'anni, ha incarnato questa figura dai confini incerti eppure precisi meglio di chiunque altro, nei quarant'anni in cui periodicamente le cronache politiche e giudiziarie hanno dovuto occuparsi di lui. Unico a potergli contendere il primato Francesco Pazienza, suo sodale nella loggia massonica P2, di cui però qualche traccia di attività limpida può essere individuata. La stella di Carboni invece sorge e tramonta in quel mondo un po' iniziatico dove si consumano affari - faccende, per l'appunto - che solo nell'oscurità divengono possibili.

Di questi, il più celebre fu indubbiamente l'assalto alle casse del Banco Ambrosiano, dove Carboni si ritagliò il suo ruolo in una compagnia straordinaria, tra cardinali e mafiosi, ed ebbe la sua apoteosi nel capitolo più cupo, la fuga a Londra del banchiere Calvi, accompagnato proprio da Carboni, e la sua impiccagione sotto un ponte: e l'ipotesi non peregrina che si sia trattato davvero di un suicidio non sminuisce la curiosità su che diavolo ci facesse il faccendiere sardo in quell'ultimo viaggio.

Proprio per il crac dell'Ambrosiano Carboni incassò l'unica condanna della sua vita: otto anni per bancarotta, scontati in piccola parte, e che non gli impediscono di restare a galla, continuando a tessere relazioni e affari con quel mondo di mezzo in cui lui - sbarcato a Roma dalla provincia sassarese negli anni Sessanta con pochi mezzi ma con autorevoli viatici massoni e democristiani - si muoveva con astuzia e confidenza crescente. Dalla sua, aveva un carattere che Pazienza, descrive così: «Di una simpatia pirotecnica», «con una parlantina velocissima e un'estrema estroversione, Carboni era un uomo indubbiamente intelligente»: ma anche vittima delle sue debolezze, «sempre a caccia di denaro, oggi per pagare i debiti di ieri e domani per ripianare quelli di oggi, era nelle mani della peggiore schiatta di strozzini e usurai».

Eppure Carboni resta a galla, per decenni, pronto a riapparire - come un brand di sicura attrattiva - ogni qual volta una indagine giudiziaria ha bisogno di un nome in grado di portarla in prima

pagina: dalla inchiesta sulla immaginaria loggia P3 al processo in Vaticano al cardinale Becciu, non c'è storia misteriosa in cui Carboni in questi anni non sia stato evocato.

E a conti fatti, a lui probabilmente faceva piacere.

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