
Mentre crollano i mercati di tutto il mondo scossi dal panic selling che ha seguito la guerra commerciale aperta da Donald Trump, il governo italiano è costretto a dividersi tra la necessità di elaborare una strategia per ridurre l'impatto dei dazi sui settori più a rischio e una nuova puntata della querelle sul Viminale, da domenica tornata argomento di tensione nella maggioranza.
Quando nel tardo pomeriggio Giorgia Meloni riceve a Palazzo Chigi la task force governativa chiamata a valutare l'impatto delle tariffe imposte dagli Stati Uniti - sono presenti i due vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini e i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese), Tommaso Foti (Affari europei) e Francesco Lollobrigida (Agricoltura) - si è infatti già consumata una nuova puntata della disfida per il ministero dell'Interno. Mentre il vicesegretario della Lega Claudio Durigon rilancia il ritorno di Salvini al Viminale, l'attuale ministro Matteo Piantedosi fa sapere che questo week end è stato assorbito dall'Avellino, che «ha vinto a Catania e ora è primo in Serie C». Come a dire che della questione non si sta interessando. A differenza di Fratelli d'Italia e Forza Italia. «Salvini avrebbe potuto essere un ottimo ministro dell'Interno, ma c'è già Piantedosi che sta facendo un lavoro straordinario. Nulla di personale con Matteo, ma Piantedosi resterà al Viminale», dice uscendo dalla Camera il responsabile organizzazione di Fdi Giovanni Donzelli. «In questo momento gli italiani non sono preoccupati da spostamenti di poltrone, ma da cosa accade nel mondo, Piantedosi peraltro sta lavorando benissimo», gli fa eco il leader azzurro Tajani. La questione, insomma, non è sul tavolo. Ma sta comunque agitando la maggioranza, tanto che nel tardo pomeriggio la Lega fa sapere che i due si sono sentiti e che tra loro «c'è stima, amicizia e sintonia» e «il feeling umano, professionale e politico non verrà mai meno e non è in discussione». E ancora: «La richiesta del congresso della Lega sul Viminale è in un'ottica costruttiva e in nessun caso porterà problemi al governo».
Ma al di là della diatriba sul ministero dell'Interno, la giornata a Palazzo Chigi è dedicata alla ben più seria questione dei dazi. Meloni si sta muovendo sia sul fronte europeo che su quello interno. E sul primo, durante il Consiglio Ue sul Commercio a Lussemburgo, l'Italia ha provato ha chiedere un rinvio al 30 aprile dell'entrata in vigore delle contromisure europee, così da avere «più tempo per il dialogo» e dare modo alla premier italiana di presentarsi a Washington con l'Europa ancora in una situazione di attesa. La missione di Meloni negli Stati Uniti e l'incontro alla Casa Bianca con Trump, infatti, pur non essendo stato ufficialmente annunciato sembra essere già in agenda per il 16 aprile. Un'occasione - d'intesa con Bruxelles - per provare a evitare che si arrivi a una vera e propria guerra commerciare tra Usa e Ue. Ragione per cui Meloni avrebbe preferito un rinvio. «Ma - ammette Tajani lasciando la riunione di Lussemburgo - l'orientamento prevalente è di mantenere la data del 15 aprile». Nonostante questo, però, la premier - d'intesa con Tajani - non ha alcuna intenzione di muoversi in maniera autonoma e vuole restare allineata all'Unione europea, con buona pace di Salvini che anche durante la riunione di ieri avrebbe invece auspicato un approccio opposto. A Palazzo Chigi, infatti, ritengono che uno spazio per la trattativa ci sia ancora, anche alla luce dei 9.
500 miliardi di dollari (il dato è di Bloomberg) bruciati in soli tre giorni dalle borse di tutto il mondo. Insomma, «una guerra commerciale non avvantaggerebbe nessuno» e - si legge in una nota della presidenza del Consiglio - il tema «va affrontato con determinazione e pragmatismo e senza allarmismi».
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