Con quel cognome lì, Bilancia, si portava appresso l'aspirazione a una giustizia livellatrice che lui aveva sempre vissuto a modo suo. E la sua morte avvenuta ieri, per Covid, in carcere, fa il solletico all'aritmetica. Perché sulla bilancia delle morti, la sua pesa molto meno delle diciassette sentenze da lui decise ed eseguite tra la fine del 1997 e l'inizio del 1998, in quei sei mesi in cui divenne un mostro, molti mostri, tutti imprigionati in quel corpo normale, in quell'espressione da contabile. Contabile sì, ma di cadaveri.
Donato Bilancia, 69 anni, lucano di Potenza, ha pagato con la vita il suo incontro con il virus, contratto nel carcere Due Palazzidi di Padova. Ne avrebbe dovuto avere tredici, di vite, per pagare il conto con la giustizia. Tanti infatti sono gli ergastoli a cui era stato condannato per la sua furibonda carriera criminale, iniziata il 16 ottobre 1997, quando ammazza il biscazziere Giorgio Centanaro, trovato morto nella sua abitazione, soffocato. Inizialmente la morte viene rubricata come naturale, ancora al processo contro Bilancia i parenti della vittima insisteranno a snobbare la pista dell'assassinio. Ma Bilancia poi confesserà, il primo omicidio non si scorda mai. Da lì alla fine di ottobre, Bilancia ci prende gusto e fa fuori un altro biscazziere, Maurizio Parenti, e la moglie Carla Scotto, sempre a casa loro: ruba loro 13 milioni di lire e dei gioielli; quindi, il 27 ottobre, l'orefice Bruno Solari e la moglie Maria Luigia Pitto. Il 13 novembre è la volta di Luciano Marro, un cambiavalute di Ventimiglia, a cui sfila 45 milioni. Bilancia torna in azione nel 1998: il 25 gennaio uccide a Genova il metronotte Giangiorgio Canu, come uno sfizio, come uno sfregio alla sua poco nobile divisa. Il 9 marzo inaugura il filone delle prostitute: la prima è Stela Truya, albanese: si apparta con lei e la fredda, come fosse una bambola gonfiabile. Lo fa di nuovo il 18 marzo a Pietra Ligure, lei era l'ucraina Ljudmila Zubskova, un'altra morte da pochi spiccioli, Il 20 marzo tocca di nuovo a un cambiavalute, Enzo Gorni, di Ventimiglia. Di nuovo lucciole: il 24 marzo a Novi Ligure il destino gli mette davanti la trans Lorena, che capisce, fugge e gli sfugge, riesce a scamparla, è ferita gravemente ma non muore. Muoiono invece i due metronotte accorsi, Massimiliano Gualillo e Candido Randò. Il 29 marzo a Cogoleto, si imbatte in lui la nigeriana Tessy Adodo. Bùm. Uccisa.
Bilancia si annoia, e poi le indagini iniziano a capire che le morti delle prostitute sono provocate da un'unica mano e da un'unica arma. Cambia, va per treni. Il 12 aprile sull'Intercity La Spezia-Venizia spara e uccide Elisabetta Zoppeti, in bagno. Il 18 aprile sale sul Genova-Ventimiglia e sceglie come vittima Angela Rubino. La uccide, poi si masturba sul suo cadavere come squallido oltraggio. Nel frattempo, il 14 aprile, un'altra prostituta, Kristina Valla, stacca il biglietto della follia, incontrandolo e finedone uccisa. Il «mostro della Liguria» è su tutti i giornali, le forze dell'ordine militarizzano quella lingua di terra. Bilancia ha il tempo di compiere un ultimo delitto, la morte del benzinaio Giuseppe Mileto che vuole essere pagato e non fargli credito. È il 20 aprile 1998, ad Arma di Taggia, autostrada Genova-Ventimiglia. Il 6 maggio Bilancia viene arrestato, la polizia è sulle sue tracce per una faccenda di pedaggi autostradali non pagati, sovrapporre targhe e identikit è un gioco da ragazzi.
Finisce così l'epopea sanguinaria di «Walterino»,
giocatore d'azzardo, anima in pena, «orfano» di un fratello che si gettò sotto un treno nel 1987, vittima di due incidenti che lo fecero cadere in coma. Troppo per una sola vita, troppo per diciassette morti. Anzi, diciotto.
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