Il presidente eletto Joe Biden non perde tempo e annuncia la formazione di una nuova squadra di esperti per contrastare l'epidemia di Covid-19, prima priorità della sua futura azione di governo. Si tratta di un gruppo di tredici persone tra esperti e scienziati, che sarà chiamato a fornire una risposta a quella che Biden, durante la campagna elettorale, aveva bollato come il peggior fallimento dell'Amministrazione Trump. Ma proprio mentre il prossimo presidente democratico muove i primi passi concreti verso l'azione di governo in una fase di transizione che si concluderà con il vero e proprio passaggio dei poteri solo il prossimo 20 gennaio, si manifestano da parte del partito repubblicano, che ha tuttora le leve del potere nelle proprie mani, atti volti ad ostacolarli: Emily Murphy, responsabile dell'ente federale preposto a finanziare il «transition team», non ha ancora firmato i documenti necessari a far giungere le risorse economiche previste dalla legge per consentire alla squadra di Joe Biden di avviare il proprio lavoro.
A proposito della task force anti Covid, Biden ha voluto sottolineare che saranno i criteri scientifici a informarla. Ne faranno parte anche figure come il virologo e immunologo Rick Bright (nella foto), che era stato allontanato dalla guida della Autorità Biomedica di ricerca avanzata e sviluppo (Barda) dopo aver criticato l'operato del governo federale contro l'epidemia e denunciato pressioni politiche sull'idrossiclorochina, una controversa cura per il Covid sponsorizzata da Donald Trump in persona. Fino al 20 gennaio, però, sarà ancora il team nominato dal presidente uscente a gestire l'emergenza sanitaria che ha ormai causato oltre 237mila morti e dieci milioni di contagi negli Stati Uniti.
Nel frattempo, Biden si trova a dover affrontare problemi politici che hanno origine sia dalla destra che dalla sinistra dello spettro politico. Da parte repubblicana, come abbiamo visto, vengono frapposti ostacoli di natura apparentemente formale, ma che diventano poi di fatto assai concreti. La mancata firma da parte della responsabile dell'Amministrazione dei Servizi generali (Gsa) dei documenti che assegnano milioni di dollari al «transition team» del presidente eletto non sembra una dimenticanza casuale, ma piuttosto un gesto politico, un mancato riconoscimento di una vittoria elettorale che non è stata ancora certificata a livello ufficiale, ma soltanto a quello dei media, mentre il presidente Trump continua a rifiutarsi di riconoscere la propria sconfitta e annuncia azioni legali a tutti i livelli. Il freno al rilascio dei fondi da parte della Gsa sembra insomma voler creare un problema concreto a Biden a pochi giorni dalla nomina, prevista dalla legge, di suoi rappresentanti nelle principali agenzie governative per cominciare ad attuare l'agenda del futuro presidente.
Problemi politici seri arrivano però anche dall'interno dello stesso partito democratico. Al centro delle difficoltà ci sono i contrasti con l'ala più radicale dei dem, quella che fa capo a leader socialisteggianti come Bernie Sanders ed Elizabeth Warren. Essa ha appoggiato solo per motivi tattici la candidatura a presidente del centrista Biden e vuole ora passare all'incasso di posti di potere e cercare di determinare una linea il più possibile di sinistra nel futuro governo. Polemiche intestine si sono già accese dopo che esponenti democratici moderati è il caso del capogruppo alla Camera James Clyburn hanno rivendicato al fronte centrista la vittoria in Stati decisivi del Midwest e accusato esponenti radicali di aver messo in fuga gli elettori parlando apertamente di socialismo.
«Chiamarci radicali come fanno i repubblicani non è un buon inizio di dialogo» ha lamentato la dirigente liberal Yvette Simpson, ma è appunto più che probabile che si tratti solo dell'inizio di un braccio di ferro interno che costerà a Joe Biden molte energie.
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