Mps, lo sfacelo Pd imbarazza Letta

Il segretario costretto a non scontentare Siena. Oggi audizione del ministro Franco

Mps, lo sfacelo Pd imbarazza Letta

Il caso Mps finirà stasera sul tavolo del Parlamento, quando il ministro dell'Economia, Daniele Franco, si presenterà in commissione per riferire sulle ipotesi di assorbimento della disastrata banca senese da parte di Unicredit.

Dando per scontati frizzi, lazzi e lanci di coriandoli da parte di destra e grillini, la cosa interessante da osservare sarà l'atteggiamento del Pd. Perché, come è noto a tutti, le operazioni spericolate che hanno portato la banca senese, storicamente legata al Pci-Pds-Ds etc, sull'orlo del baratro hanno una precisa targa di partito, così come il salvataggio del 2017 che l'ha resa pubblica, così come l'ipotesi di vendita a Unicredit, che venne messa a punto durante l'ultimo governo Conte, con la benedizione del premier grillino e del ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, oggi candidato sindaco di Roma. Che all'epoca agevolò attivamente il passaggio di Pier Carlo Padoan, deputato eletto a Siena, alla tolda di comando di Unicredit. Anche in vista di questa operazione su Mps, unica strada percorribile per liberare i contribuenti italiani dalla zavorra Montepaschi nei tempi concordati con l'Unione europea.

Oggi il Pd è lacerato tra due diverse tensioni: la consapevolezza di non poter ostacolare una operazione di «smaltimento» di Mps che porta la sua firma, anche se oggi il governo chiamato a realizzarla è quello di Mario Draghi, e i lamenti del «territorio», ossia dei dem senesi che non vogliono perdere il controllo clientelare sulla Banca, e quindi reclamano che Mps venga tenuta artificialmente in vita a spese dei cittadini, e non «spezzettata» e ceduta all'unico soggetto al mondo disponibile ad prendersela. Il problema del Pd è che oggi il suo segretario Enrico Letta è candidato (al posto lasciato libero da Padoan) proprio a Siena, e dunque non può fare orecchie da mercante rispetto ad un partito e a una città abituati da decenni a sopravvivere grazie alla banca. Letta si aspettava che la (scontata) bufera Mps scoppiasse dopo la sua campagna elettorale, ed è quindi stato colto di sorpresa dall'anticipazione. All'inizio, il Pd ha reagito facendo il viso dell'arme, con le due capogruppo Serracchiani e Malpezzi incaricate di reclamare un immediato «chiarimento» da parte del governo, il Pd toscano lasciato libero di gridare allo scandalo contro lo «spezzatino di Mps» e di chiedere di trasformare la banca semi-fallita in una nuova, inutile Alitalia da schiaffare sul groppone dei contribuenti, stipendi dei dipendenti inclusi. E con il Pd nazionale che scaricava pubblicamente Padoan, ossia colui che il medesimo Pd aveva incaricato di evitare il peggio.

Col passare dei giorni, però, lo stesso Letta si è reso conto di quanto il terreno fosse scivoloso, e ha richiamato i suoi alla prudenza: ieri il responsabile economico del Pd Antonio Misiani riconosceva (sia pur tra le righe) che l'ipotesi Unicredit resta l'unica in campo, chiedendo di evitare lo «spezzatino» inevitabile e di salvaguardare i posti di lavoro: «Il governo deve supportare la comunità senese nella costruzione di un futuro meno dipendente dalla banca», era la conclusione.

Ossia l'ammissione (sempre tra le righe) che la festa è finita, ma anche la richiesta al governo Draghi di dare una mano per evitare contraccolpi elettorali gravi al Pd, visto che il suo segretario si gioca il tutto per tutto nel collegio (finora super-sicuro) di Siena. E se il Pd è in imbarazzo, figurarsi M5s: fino a pochi mesi fa definivano il Pd «la peste rossa» che aveva devastato Mps. Oggi sostengono il suo segretario alle suppletive. Sic transit gloria mundi.

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