La controffensiva giudiziaria dello staff legale della Sea Watch è già iniziata: e punta oltre che sulle giustificazioni umanitarie del comportamento di Carola Rackete anche a smontare quello che è in questo momento l'elemento più insidioso delle accuse mosse alla comandante tedesca, ovvero la qualificazione come nave da guerra nazionale della motovedetta V808 della Guardia di finanza colpita da Sea Watch all'entrata del porto di Lampedusa.
È questa qualificazione a fare scattare nei confronti della Rackete l'accusa più pesante che grava in questo momento contro di lei, ovvero la violazione dell'articolo 1100 del codice della navigazione. Il comandante della nave che commette atti di violenza o resistenza contro una nave da guerra nazionale, stabilisce il codice del 1942, è punito col carcere da tre a dieci anni.
«Ma quella è una imbarcazione militare, non una nave da guerra», sostengono i legali della Ong tedesca. Ma in queste ore gli inquirenti stanno già raccogliendo le numerose sentenze che in passato hanno riconosciuto alle imbarcazioni delle «fiamme gialle» lo status bellico. Si tratta di precedenti che lasciano poco spazio alle manovre difensive. E che la V808 sia stata oggetto di «resistenza o violenza» è dimostrato inequivocabilmente dai filmati oltre che dalle testimonianze. Spiegano da Palermo, dal comando del Roan (reparto operativo aeronavale) della Gdf, da cui dipende la nave colpita e che sta coordinano le attività di polizia giudiziaria: «È pacifico che non siamo stati noi ad attaccare».
La nuova accusa si aggiunge a quella già contestata nel pomeriggio di venerdì alla Rackete, la violazione dell'articolo 1099 dello stesso codice della navigazione, «rifiuto di obbedienza a nave da guerra», per essere entrata nelle acque territoriali: pena fino a due anni. Poi c'è l'articolo 12, comma 3 a, della legge sull'immigrazione, per avere introdotto clandestini nel Paese: pena da 5 a 15 anni. E, infine, c'è la sanzione amministrativa: la Gdf, in base al decreto Sicurezza bis, ha elevato una multa di 16mila euro ciascuno al comandante della Sea Watch3, Carola Rackete, all'armatore e al proprietario della nave battente bandiera olandese.
Conto pesante, come si vede. E le «scuse» porte dalla comandante non cambiano nulla. Tanto che anche il Procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, da sempre attento ai diritti dei migranti (è lo stesso che incriminò Matteo Salvini) è intenzionato a usare la linea dura nei confronti della donna.
Carola Rackete appare, dunque, destinata a una sorte simile a quella di Mimmo Lucano, sindaco di Riace, resosi responsabile «a fini umanitari» di reati assai gravi e finito sotto processo. Nell'interrogatorio di garanzia previsto per domani o dopodomani davanti a giudice preliminare che l'ha messa agli arresti domiciliari, la Rackete dovrà scegliere tra difendersi politicamente, in nome dei diritti dei migranti, o affidarsi a una difesa tecnica. Una via di mezzo potrebbe essere invocare l'esimente dello «stato di necessità», viste le condizioni psicofisiche dei profughi. Ma se questo può giustificare forse la disobbedienza, non può essere una scusante per la deliberata aggressione alla V808, che solo per caso non ha causato vittime tra i finanzieri a bordo.
Nel frattempo, la donna resta ai domiciliari
presso il centro di accoglienza di Lampedusa. Difficile che le possano venire revocati, visto il rischio che lasci l'Italia. Non sulla Sea Watch, che è sotto sequestro probatorio: ma gli amici alla «Capitana» non mancano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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