Myanmar, altri 12 morti. Il parroco-eroe in piazza "Ora il mondo ci aiuti"

All'Onu altra condanna, ma niente sanzioni. Racconto del prete che ha fermato i poliziotti

Myanmar, altri 12 morti. Il parroco-eroe in piazza "Ora il mondo ci aiuti"

Bangkok. Ieri il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato all'unanimità una dichiarazione in cui condanna l'uso della violenza da parte dei militari, ma non ha minacciato nessuna sanzione reale nei confronti della giunta militare a causa dell'opposizione di Cina, Russia, India e Vietnam. «Abbiamo ribadito il nostro sostegno al popolo del Myanmar», ha detto Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite. «Speriamo che questo spinga i generali a rendersi conto che è assolutamente essenziale che tutti i prigionieri siano rilasciati e che i risultati delle elezioni di novembre siano rispettati».

Oltre alle parole però, servono i fatti. «Abbiamo bisogno che la comunità internazionale stia concretamente dalla parte del nostro popolo e intraprenda azioni forti contro il regime militare», dice al Giornale padre Celso Ba Shwe, parroco della Cattedrale di Cristo Re nella città di Loikaw, nello Stato Kayah, che nei giorni scorsi insieme a un pastore protestante ha fermato l'avanzata della polizia contro i manifestanti. «Tanto sangue è già stato versato, non vogliamo che continui. Il mondo non deve tacere davanti alle sofferenze del nostro popolo. Aiutateci a combattere contro ingiustizie e crimini, a liberarci da questa drammatica situazione», ha aggiunto.

Da quando sono iniziate le rivolte contro il golpe militare del primo febbraio, la comunità cattolica del Paese si è subito schierata in difesa della popolazione. «Abbiamo paura che gli agenti di polizia uccidano i giovani manifestanti. La nostra presenza di persone di fede, operatrici di pace, può aiutare a farli desistere. Per questo siamo qui in strada», hanno detto alcune suore di Myitkyina, capitale dello Stato Kachin, nel Nord del Myanmar. Tra loro anche Ann Nu Tawng, la religiosa diventata nei giorni scorsi «icona di pace» per aver fermato la polizia che stava per fare fuoco contro i dimostranti. «Mi sono inginocchiata e ho implorato di non sparare. Uccidete me, non la gente, gli ho detto», ha raccontato la suora ai media locali.

«Ogni mattina si organizzano proteste pacifiche. Generalmente ci mettiamo ai lati della strada a pregare e a volte ad offrire acqua e cibo ai manifestanti. In alcuni casi sacerdoti, suore e seminaristi si sono uniti direttamente alle dimostrazioni per la democrazia, altre volte, come negli ultimi giorni, abbiamo fatto da scudi umani», ci dice un missionario cattolico francese da tre anni nel Paese, che per ragioni di sicurezza vuole nascondere la propria identità. «Ho un visto religioso e non mi è permesso parlare di quello che sta succedendo. Mi potrebbero cacciare da un momento all'altro», spiega al telefono.

Intanto le manifestazioni non si fermano. E non si ferma neanche la brutale repressione delle forze di sicurezza che, solo ieri, hanno assassinato almeno 12 manifestanti in varie città del Paese e fermato più di 300 persone. La televisione di stato Mrtv ha inoltre annunciato mandati di arresto contro alcuni leader della protesta, mostrando le foto dei ricercati. La giunta militare ha anche accusato di corruzione Aung San Suu Kyi, che avrebbe accettato un pagamento illecito di 600mila dollari e 11 chilogrammi d'oro.

Ma per l'esercito è tutto normale.

«La situazione nel Paese non è tale da dover destare preoccupazione internazionale», ha detto in una conferenza stampa il generale Zaw Min Tun. «Rispettiamo le opinioni di tutti, ma andremo avanti per la nostra strada». Una strada macchiata dal sangue delle persone innocenti uccise nell'ennesima rivolta pacifica della popolazione contro la dittatura.

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