Nasce la tentazione del "No" che può distruggere i grillini

L'idea di ripetere lo schema-Renzi: il referendum arma anti giallorossi. Ma nel centrodestra prevale il "Sì"

Nasce la tentazione del "No" che può distruggere i grillini

Attenzione allo schema Renzi. Il fronte del No alla riforma costituzionale intravvede una possibilità in quella che sembrava una battaglia disperata contro una riforma troppo populista per risultare impopolare. È Renato Brunetta, in un'intervista a Repubblica, a dire a voce alta ciò che molti sussurrano da tempo: «I leader del centrodestra, comprendendo il rischio enorme per la democrazia parlamentare, oltre al patto anti-inciucio, ne facciano un altro per dire No al prossimo referendum. Realizzerebbero gioco, partita e incontro». E il responsabile economico di Forza Italia rende esplicita la posta in palio: dare una spallata al governo. Di più, mettere in crisi l'alleanza Pd-M5s, costruita proprio sulla disponibilità del Nazareno a rinnegare le posizioni ribadite con ben tre voti in Parlamento pur di realizzare la convergenza anti-Salvini e tornare al potere.

Il sentiment cui Brunetta dà voce è la chance di ripetere l'impresa andata a segno in occasione del referendum sulla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi: coagulare un fronte disposto a trasformare il referendum in una trappola letale per il governo dell'allora leader del Pd. Certo, all'epoca fu lo stesso leader di Rignano a dare una mano ai suoi avversari personalizzando esplicitamente la consultazione, tramutandolo in un voto pro o contro di lui. Giuseppe Conte ha dalla sua il vantaggio di una personalità decisamente meno vistosa, tratto caratteriale di solito poco utile alla leadership, ma che in questo frangente potrebbe aiutarlo a restare sullo sfondo.

Brunetta coglie però un altro sommovimento in corso: «Anche Pd e Leu potrebbero svegliarsi e non accettare un taglio che hanno votato controvoglia». E in effetti nel Pd si è formato un agguerrito fronte dei «democratici per il No» che vede schierati nomi come Tommaso Nannicini e il capogruppo in Senato Andrea Marcucci. E anche una larga fetta della base, tra appelli di costituzionalisti, adesioni di avvocati e magistrati (tra cui Armando Spataro), tam tam di Sardine, Anpi e Anci. E i toni si sono scaldati in fretta, tanto che chi argomenta per il Sì, come Stefano Ceccanti, si è visto attaccare duramente, al punto da replicare che i democratici per il No «tanto democratici dimostrano di non essere».

Lo stesso Matteo Renzi avverte il peso dell'analogia con la sua vicenda, e pur sminuendo la riforma, («È un referendum più inutile che dannoso, solo una mossa demagogica»), non affonda il colpo: «Basta, non personalizzo i referendum». Anche la cautela di Luigi Di Maio dimostra che i 5s sono coscienti che polarizzare il confronto non conviene: «Il referendum non è la fine di un percorso ma l'inizio, -dice il ministro- seguiranno le modifiche ai regolamenti parlamentari, una legge elettorale approvata a larga maggioranza».

Il problema è che nel centrodestra invece i leader non vogliono lasciare la battaglia anti casta nelle mani dei grillini. Inequivocabile Giorgia Meloni schierata per il Sì: «Non mi sfugge che un eventuale successo del no potrebbe mettere in difficoltà la maggioranza, ma non baratto una cosa in cui credo con l'utilità di un momento». In Forza Italia, se tanti parlamentari come Deborah Bergamini e Andrea Cangini fanno da motore al comitato per il No, la linea che prevale è più prudente: «Siamo sempre stati favorevoli al taglio dei parlamentari, -ha detto ieri Antonio Tajani dal Meeting di Rimini- ma non per fare una campagna demagogica per colpire i parlamentari». Del resto non tutti sono convinti di legare referendum e attacco al governo: «Il No -medita Cangini- indebolirebbe i 5s, già divisi da una guerra per bande, ma non so se cadrebbe il governo. E del resto le ragioni del No alla riforma sono già abbastanza valide senza aggiungerne altre».

E nel centrodestra anche Salvini da Rimini conferma la linea del Sì. Ma i giochi sono ancora aperti. E tra i parlamentari leghisti ci sarebbe poca voglia di spendersi per una campagna referendaria parallela a quella grillina.

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