Tre giornate destinate a lasciare il segno in ambito diplomatico. Sono cominciate ieri con la breve ma molto importante visita a Kiev del segretario di Stato americano e del suo collega alla Difesa. Proseguiranno domani con la delicata missione del capo del Pentagono in Germania per un vero e proprio consiglio di guerra con gli alleati europei, che è anche una specie di prova dell'effettiva capacità che il presidente Usa Joe Biden avrà di guidare Paesi in parte recalcitranti sulla strada da lui indicata. Domani comincia anche la missione del segretario generale dell'Onu Guterres, che andrà prima ad Ankara (dove il presidente turco cerca di rilanciarsi come mediatore tra Putin e Zelensky), poi a Mosca e infine a Kiev.
Per il presidente ucraino, l'arrivo nella sua capitale di Antony Blinken e di Lloyd Austin ha un significato enorme. Perché è ormai evidente che è la Casa Bianca a trainare la reazione occidentale anti russa in difesa dell'Ucraina, che la sua strategia punta a una sconfitta militare di Putin e che i responsabili della diplomazia e delle forze armate degli Stati Uniti non si esporrebbero mai in questo modo se non avessero già deciso di andare fino in fondo. Ciò significa, in questa fase, armi americane per l'esercito ucraino, impegnato in quelle che gli analisti militari hanno definito le tre-quattro settimane decisive per le sorti di questa guerra - nella battaglia per la sopravvivenza contro gli invasori russi sui fronti orientale e meridionale.
Alla vigilia della visita, Zelensky l'ha detto chiaramente: a Biden abbiamo chiesto un rifornimento di armi adeguato e calibrato sulle nostre esigenze soprattutto nel Donbass, e ci aspettiamo che i suoi ministri non si presentino a Kiev a mani vuote. Prima del suo sbarco, Blinken non ha mancato un riferimento alla Pasqua ortodossa, e mentre Putin (che aveva respinto la richiesta di una tregua pasquale) condivide con il patriarca moscovita Kirill una linea bellicistica, ha espresso invece ammirazione per la resilienza degli ortodossi ucraini e ha augurato loro «speranza e un rapido ritorno alla pace».
Sarà però a Ramstein, la più grande base aerea Usa in Europa, che si affronteranno i nodi più intricati. Domani, insieme con i rappresentanti dei trenta Paesi Nato e di una decina di altri tra cui Svezia e Finlandia che sfidando le minacce di Putin si apprestano a chiedere l'adesione all'Alleanza Atlantica, il capo del Pentagono Austin vi esaminerà la disponibilità degli alleati europei a contribuire allo sforzo comune per armare adeguatamente l'Ucraina. È un passaggio delicato che implica il rischio di frizioni o addirittura di fratture, perché se i Paesi orientali Nato sono allineati con Washington, i più «pesanti» alleati occidentali potrebbero invece reagire con timori e perplessità alla richiesta di accelerare verso un confronto più aperto con Mosca. Non è tutto: Austin metterà sul tavolo la questione dei rapporti con Kiev dopo la fine del conflitto, altrettanto complessa e decisiva soprattutto perché costringerà a manifestarsi coloro che magari immaginano un ritorno a relazioni più o meno normali con Vladimir Putin.
Infine, il capitolo dell'Onu e dei tentativi di mediazione. Guterres sarà domani ad Ankara da Erdogan, che nel frattempo ha telefonato a Zelensky offrendogli nuovamente i suoi buoni uffici per riaprire il dialogo con Mosca. Dialogo al quale, secondo il Financial Times, Putin non crederebbe affatto perché «crede sinceramente alle sciocchezze della sua stessa propaganda» e vuole piuttosto stravincere sul campo occupando a titolo definitivo più territorio ucraino possibile.
Dopo Ankara, Guterres è atteso al Cremlino e infine a Kiev. Una sequenza che ha molto irritato Zelensky, secondo il quale il numero uno dell'Onu sarebbe dovuto venire prima da lui: la guerra e i morti sono qui in Ucraina, ha ricordato.
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