Nato, guerra e migranti. La posta in palio globale nella partita di Ankara

Il risultato avrà ricadute in Medio Oriente, in Europa e nel mondo. I rapporti con la Russia e il nodo della Libia

Nato, guerra e migranti. La posta in palio globale nella partita di Ankara
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Sono elezioni fatali quelle che coinvolgono 64 milioni di turchi oggi. Per loro e per il mondo. Ma può cambiare tutto e nulla se Erdogan come ripetono gli esperti, perderà le elezioni: perché la realtà non è solo nella cruda evidenza degli eventi, ma negli occhi e negli interessi di chi guarda. E così, se questo dittatore che fa di tutto per riportare il mondo al tempo dell'Impero Ottomano (per convinzione patriottica, per religione, per carattere sopraffattore, per grandi interessi) dovesse cadere oggi, forse gli Stati Uniti e l'Europa che l'hanno sostanziale nemico e, dall'altra parte, la Russia, l'Iran, le organizzazioni integraliste che lo hanno amico, cercheranno una strategia cauta, perché ormai la grande Turchia è legata da mille lacci. Intanto, tutto il mondo ripete che il suo antagonista Kemal Kilicdaroglu è un uomo grigio: proprio questo forse libererà il mondo da un boss che si vede come il restauratore del sultanato.

Le ragioni del rischio elettorale sono mille: l'ombra recente, immensa, dei 51mila morti del terremoto per la colpevole fragilità edilizia e i cattivi soccorsi; e negli anni lo stile di dittatore onnipotente. Nel 2010 e nel 2017 ha espanso il potere esecutivo della presidenza a spese del giudiziario e del parlamento; sempre di più ha represso la stampa e ogni critica; l'inflazione ha creato un effetto che aveva già prodotto rivolte soffocate nella violenza (a Gezi Park nel 2013; poi la caccia ai «cospiratori» di Fetullah Gulen nel 2016). L'uomo ha creato una dura testuggine di potere anche all'estero. Le varianti sono il suo rapporto con la Nato, con l'Europa, con gli Usa, con la Russia, con stati e organizzazioni terroristiche come Hamas o la siriana Hayat Tehrir al Shams. Hamas ha condotto una quantità di traffici terroristi da Istanbul.

Erdogan apparve all'inizio come un leader che poteva mediare con l'Europa la grande questione giudaico-cristiana-islamica. Le cose si complicano quando la Turchia decide di impegnarsi in Siria contro l'Ypg ( legata al Pkk curdo, in Siria) proprio quando gli Usa, riabilitandolo, decidono di farne un alleato contro l'Isis e lo inseriscono nelle Syrian Democratic Forces. È qui che si salda l'alleanza di Erdogan, infuriato con gli Usa, con la Russia. Da allora la Turchia compra il sistema missilistico S400; gli USA allora non la inseriscono nel programma per i fighter F35 ed Erdogan, molto irato, prima rifiuta l'ingresso nella Nato sia della Finlandia sia della Svezia, poi concede la Finlandia, ma tiene la carta svedese in mano, così come detiene lo strumento di pressione sull'Europa dei quattro milioni di rifugiati siriani. Si accorda per farli rientrare in Siria, ma tratta con i russi e con Assad. Intanto le navi russe sanzionate passano dai suoi porti cariche di grano; promette all'Europa di farla finita di minacciare Cipro, ma poi lo minaccia con la Grecia, specie dopo l'accordo East Med anche con Israele. Gli Stati Uniti hanno tentato di offrire a Erdogan un accordo favorevole all'Ucraina, chiedendogli di passare a Zelensky gli S400 in cambio di un inserimento nel sistema F16. Ma l'asse russo-iraniano nonostante gli equilibrismo di Erdogan, è solido. Inoltre, al presidente iraniano Raisi, Erdogan ha detto che tutti i Paesi islamici si uniscano contro Israele. Su questo punto, Erdogan mostra una furia particolare: comincia con l'assalto a Shimon Peres nel 2009 quando gli urlò a Davos: «Sapete bene come uccidere, voialtri!»; poi l'anno dopo fu quello della Flottilla e della rottura della diplomazia, sempre incitando alla guerra per le Moschee. Ora, l'eventuale nuovo presidente, come dice nel programma, vuole creare un Paese normale.

Ma che ne farà di tutti gli accordi energetici firmati coi russi? Dell'alleanza sulla Libia? Come risolverà la questione dei profughi? E il disastro economico? Il 72 per cento dei turchi vede gli USA come una minaccia, e solo il 54 vede così i russi. Dato e non concesso che Erdogan apra le mani nel caso oggi venga battuto, il domani non è chiaro.

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