Qualcosa finalmente si muove. E la sinistra adesso trema. Perché dopo anni di silenzi e di immobilismo, c'è qualcuno che vuole vederci chiaro per capire chi ha protetto il Pd e perché non ha permesso di andare a fondo sui presunti legami con le cosche della Ndrangheta in Emilia-Romagna. Quel qualcuno è il ministero della Giustizia che ieri, attraverso il sottosegretario Durigon, ha risposto all'interpellanza urgente presentata dall'esponente di FdI Gianluca Vinci. E cosa ha detto? Che «è stata avviata da questo dicastero un'attività conoscitiva di natura ispettiva che al momento risulta coperta da segreto». Boom. L'indagine è basata sulla relazione - già visionata in esclusiva da il Giornale - dell'ex pm antimafia Roberto Pennisi, all'epoca spedito a Bologna per occuparsi dell'inchiesta Aemilia sulla mafia calabrese insediata tra Reggio e Modena e scontratosi poi con la procura e con il capo del pool delle toghe della Dda di Bologna, Marco Mescolini, magistrato che verrà poi cacciato dal Csm per i suoi rapporti con la nomenklatura locale del Pd. La relazione, rimasta nei cassetti di qualche palazzo istituzionale almeno sin dal 2014, finalmente adesso è nelle mani del governo. Quello che aveva messo nero su bianco Pennisi rappresenta un vero e proprio atto di accusa nei confronti del pm Mescolini e dell'operato della procura di Bologna. Nello scritto, ci sono nomi e cognomi di coloro che avrebbero dovuto essere indagati per scrivere un nuovo capitolo dell'inchiesta: quello di livello superiore. «I sindaci Spaggiari Antonella e Delrio Graziano, anche per via della loro partecipazione alla Processione del Santo Crocefisso del 2009 (a Cutro in Calabria, ndr) nel corso della loro campagna elettorale per le elezioni amministrative reggiane che costituivano episodio sintomatico di cui far emergere i reali contorni nonché funzionari della amministrazione comunale di Reggio Emilia quali Sergio Maria (moglie dell'attuale sindaco di Reggio Luca Vecchi, ndr), Ferrari Ugo e altri», scrive Pennisi. Eccoli i nomi che sarebbero dovuti finire nel registro degli indagati. Ma non fu possibile. E ora il ministero della Giustizia proverà a capire perché per accertare eventuali responsabilità giudiziarie e politiche.
«Un'ottima notizia per chi nutre fiducia nella giustizia. È una vicenda gravissima su cui bisogna andare fino in fondo. La notizia dell'indagine non farà dormire bene tutti quelli che in queste settimane hanno tifato per far finire nel dimenticatoio i gravi fatti denunciati dell'ex magistrato Pennisi. Così per fortuna non sarà», ha tuonato il deputato di Fratelli d'Italia Gianluca Vinci. Dello stesso avviso Pietro Pittalis, deputato di Forza Italia e vicepresidente della commissione Giustizia alla Camera: «Finalmente, qualcuno verificherà i fatti e si farà piena luce su una vicenda dai contorni oscuri».
Soddisfazione espressa anche da Giovanni Paolo Bernini, ex presidente del consiglio comunale di Parma, indagato e processato da Mescolini nell'inchiesta Aemilia e poi assolto dopo anni per non aver commesso il fatto: «Possiamo ben affermare che lo Stato, come la magistratura italiana, hanno al proprio interno gli anticorpi necessari per ribellarsi e vincere sulla Lobby della malagiustizia politicizzata che ha drogato la storia politico-istituzionale negli ultimi vent'anni». Adesso la palla passa agli ispettori del ministero. E intanto a sinistra qualcuno già trema.
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