Negri ha ragione: nemmeno i laici puntellino l'impero

Negri ha ragione: nemmeno i laici puntellino l'impero

L'invito di monsignor Luigi Negri, «Cristiani, non puntellate l'impero», si stacca, per la sua forza evocativa, dalla confusa fiacchezza del dibattito successivo al massacro di Nizza. Negri (come già il suo maestro Luigi Giussani), ha un linguaggio dal tono profetico, capace di sintetizzare in termini simbolici considerazioni storiche, religiose, e di vita quotidiana. Difficile quindi dire con precisione filologica cosa sia oggi l'«impero», cui si riferisce Negri, equivalente a quello romano, che i cristiani non puntellarono, dedicandosi invece all'edificazione del cristianesimo.

Viene in mente comunque una struttura di potere considerata «globale», e guidata da autorità che perdono forza e coesione sotto la spinta di forze estranee e fortemente motivate. Questa fu la situazione dell'impero romano nel lungo periodo della sua decadenza. A me fa venire in mente la modernità occidentale, anche nel suo tentativo di Unione europea. E mi sembra che l'invito di Luigi Negri, rivolto a «quelli che credono in Dio, o quantomeno lo attendono» può essere esteso tranquillamente anche agli altri. Alle persone di buon senso. Quest'impero è infatti assai difficile da puntellare (come dimostra la povertà dei dibattiti sull'argomento), e proprio per la ragione che indica monsignor Negri. Cioè per il vicolo cieco in cui esso si è cacciato con la sua ostinazione a negare «la presenza di Dio per affermare l'uomo come assoluto», lasciando le persone in una situazione di solitudine insostenibile «in un processo segnato dalle diverse patologie, la più tremenda delle quali è la violenza». La società, come racconta la storia, non può vivere senza Dio. Anche semplicemente come (qui forse Negri non sarà d'accordo, pazienza, è da quando siamo ragazzini che ci capita, ciò nulla toglie alla stima e all'affetto) presenza trascendente, come Essere supremo, che è all'origine e alla fine della nostra vita. L'antropologia ha dimostrato come senza l'esperienza della trascendenza, l'uomo, pur creatura intelligente, rimanga prigioniero del proprio Ego, in una sorta di autocontemplazione narcisistica incapace di relazione. Dio è l'immagine di quell'altro da sé, pensato come più e meglio di sé, indispensabile a costruire ogni rapporto. Senza Dio già è difficile innamorarti davvero, figuriamoci amare il prossimo, o tenere assieme una società.

È per questo individualismo ossessivo che oggi nelle «province dell'impero» le malattie di cui si muore sono in oltre il 75% dei casi «malattie non comunicabili», che si sviluppano interamente all'interno della singola persona. Patologie ( tumori, disturbi psichiatrici, malattie degenerative) in relazione col nostro stile di vita, segnato da eccesso, egoismo, sedentarietà e separazione dalla natura e da ogni dimensione spirituale; compresa quella dell'armonia e della bellezza, oggi disprezzata e trasformata in consumo. È per questo che ogni impero senza Dio diventa poi autoritario, come accade anche alla modernità occidentale, che fatica ormai vistosamente a riconoscere la dignità della persona in questioni fondamentali come la famiglia, il genere, la tutela dell'infanzia, la procreazione.

Come intuiva già durante la guerra la filosofa ebrea (poi convertita al cristianesimo) Simone Weil: «La retorica dei diritti è il modo della modernità di negare l'amore per Dio e per il prossimo». Senza Dio, però, l'impero si dissolve, come accade da sempre. Inutile dunque puntellarlo: meglio costruire una società meno timorosa, e più veramente aperta, che ne riconosca l'importanza. Per tutti.

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