Nel mirino il filosofo che sogna l'Eurasia. E il messaggio a Putin. "Nessuno è al sicuro"

Fanatico ultra nazionalista e grande sponsor della guerra. Colpire Dugin significa minacciare la cerchia più ristretta dello Zar

Nel mirino il filosofo che sogna l'Eurasia. E il messaggio a Putin. "Nessuno è al sicuro"

Da Kiev giurano di non entrarci per nulla. Non siamo uno Stato terrorista come la Russia, spiegano. Tutto è possibile, per carità. Anche che Aleksandr Dugin, l'ideologo della destra ultranazionalista russa che ha iniziato Vladimir Putin alle visioni imperial-tradizionaliste e al concetto ambiguo di Eurasia, abbia rischiato di seguire sua figlia Darya all'altro mondo in seguito a un regolamento di conti tra élite di potere moscovite: il personaggio è scomodo, e gli appetiti nei dintorni del Cremlino sono molto robusti. Rimane il fatto che la vecchia legge del cui prodest? orienta i sospetti verso l'Ucraina. Dugin, il fanatico negatore del diritto stesso degli ucraini di essere un popolo distinto da quello russo, istigatore insieme a sua figlia dell'aggressione militare a quello Stato amico dell'esecrato Occidente, è visto a Kiev come mandante e responsabile, non meno di Putin, dei massacri e delle devastazioni che quel popolo fierissimo di esserlo subisce da sei mesi. E l'attentato contro i Dugin, padre e figlia, ha tutta l'aria di essere un messaggio fortissimo al dittatore del Cremlino: nessun luogo è più sicuro per te, né la Crimea che hai annesso né la stessa Mosca. Se non possiamo colpire te, colpiremo chi ti consiglia e ti sostiene, adesso sai che possiamo farlo.

È importante capire che Aleksandr Dugin, sessant'anni, e sua figlia Darya, che ne aveva trenta, sono due personaggi di primissimo piano sulla scena del potere in Russia. Erano talmente sintonizzati nel loro estremismo che è logico pensare che chi ha ordito l'attentato puntasse a eliminarli insieme. Darya Dugina si occupava di geopolitica e dirigeva un sito (United World International, in sigla UWI) di disinformazione riconducibile a Yevgeni Prigozhin, vicinissimo a Putin e noto tra l'altro per essere al vertice delle famigerate milizie mercenarie russe Wagner, attive sul fronte ucraino. Su UWI si parlava volentieri di politica italiana: in un post di cinque giorni fa il premier Draghi veniva attaccato come «collaborazionista degli americani», si criticava Giorgia Meloni per il suo ostentato atlantismo e si suggeriva agli elettori di votare per movimenti antisistema.

Quando parlava di Ucraina, Darya Dugina riprendeva alla lettera il Dugin-pensiero: gli ucraini, aveva scritto una volta, sono «subumani che devono essere conquistati». Un linguaggio che sarebbe piaciuto ad Adolf Hitler. E in effetti, Aleksandr Dugin è la prova vivente dell'ipocrisia di Vladimir Putin quando sostiene la necessità di «denazificare l'Ucraina». Il fanatico filosofo Dugin è infatti colui che ha avvicinato Putin alle idee di Ivan Ilyin, il pensatore filonazista russo teorico di una Russia Eterna guidata da un «Leader redentore» con il diritto-dovere di azzerare le libertà individuali dei suoi cittadini-sudditi, cui spetta invece il dovere categorico di combattere le guerre da lui scatenate per la grandezza della Patria. Putin fu così colpito da decidere di far rimpatriare nel 2005 dalla Svizzera le spoglie di Ilyin (morto nel 1954 dopo esser vissuto nel Terzo Reich fino al 1938) e far loro dare sepoltura solenne. Non gli importava che Ilyin fosse stato un fervente antisovietico, come del resto lo stesso Dugin, che già in gioventù ostentava simpatie fasciste, antisemitismo e ostilità verso «l'Occidente impuro».

Tra i maestri politici di Dugin figura il teorico francese della destra tradizionalista Alain de Benoist, e quando ha presentato i suoi libri in Italia, le conferenze sono state organizzate da circoli neofascisti.

Con il da poco defunto Eduard Limonov, Dugin aveva anche fondato il partito Bolscevico-nazionale, che teneva insieme il peggio degli estremismi di destra e di sinistra russi: un sincretismo politico che Putin ha ripreso nella sua propaganda nazionalistica che fonde la nostalgia zarista con quella per l'Unione Sovietica e perfino per Stalin, presentati non come espressioni del comunismo, ma come esempi di grandezza nazionale. Propaganda che viene ammannita oggi in Russia obbligatoriamente già sui banchi delle elementari.

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