Chi continua a ripetere che facendo questo o quello l'Occidente finirà col sospingere Putin nelle braccia della Cina forse non ha capito bene: è già successo da un pezzo, e non siamo stati noi. Il principale incubo del leader russo non è una minaccia militare occidentale a Mosca, che non esiste e il cui spettro serve a Putin come pretesto per le sue azioni volte a ricostituire il suo impero novecentesco: sono le idee dell'Occidente. È la voglia di libertà che Putin non vuol vedere avvicinarsi ai suoi confini. Per questo Putin si sceglie gli amici tra i suoi simili: dittature come la Cina, l'Iran, Cuba, il Venezuela, la Siria e, in Europa, nazionalisti nostalgici di quello stesso passato che piace a lui.
La Cina comunista è di gran lunga il più potente di questi amici. Appena poche settimane fa, Putin ha viaggiato fino a Pechino per inaugurare al suo fianco le Olimpiadi cinesi: in quell'occasione è stata glorificata l'amicizia tra due dittatori che hanno da tempo deciso di lanciare un'aperta sfida comune ai valori occidentali. In particolare, Xi e Putin hanno detto chiaramente che d'ora in avanti si sarebbero sostenuti a vicenda in ogni circostanza nell'arena internazionale: puntano a un nuovo ordine mondiale che include l'espansione russa in Africa e in Medio Oriente (non a caso ieri il consigliere di Putin Dmitry Suslov ha ricordato ironicamente che «il mondo è molto più vasto dell'Occidente»).
Pur evitando di esplicitare il proprio sostegno all'aggressione militare russa, alle Nazioni Unite Pechino sostiene Mosca anche se, ha riferito alla Reuters il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, «la situazione in Ucraina è qualcosa che la Cina non vuole vedere». E poi: «Tutte le parti devono astenersi dalle ostilità» ma tenendo ben presente che «le preoccupazioni della Russia sull'allargamento della Nato a est dovrebbero essere prese seriamente in considerazione e ricevere una risposta adeguata». Ieri, al telefono con Putin, Xi ha affermato di rispettare «le azioni della leadership russa» in Ucraina e i due leader si sono confermati la volontà di una stretta cooperazione all'Onu e negli altri fori internazionali. C'è però un ma: siccome la Cina opprime da decenni nazionalità come i tibetani e gli uiguri del Xinjiang e respinge ogni loro pretesa secessionistica, uno dei cardini della sua politica estera è il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale di tutti Paesi. Da qui l'importante novità emersa ieri, in pieno corso dell'attacco russo a Kiev: la Cina sostiene un negoziato tra Russia e Ucraina per risolvere il conflitto, il che dovrebbe (molto in teoria) impedire un'annessione del Paese aggredito.
Xi ha ricevuto una richiesta di intervenire in tal senso presso Putin anche dalla Ue, nella persona del suo alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell, ma ha deciso questa mossa perché gli fa gioco. Un suo obiettivo prioritario, parte del disegno volto a demolire d'intesa con Putin l'egemonia mondiale degli Stati Uniti, consiste infatti nel ridare centralità all'Onu, dove la Cina punta a svolgere un ruolo guida d'intesa con un'alleanza di Paesi minori, sminuendo il peso di forum alternativi come il G7 e simili. Ecco perché come riporta il New York Times funzionari cinesi hanno respinto per tre mesi le insistenze di inviati di Joe Biden che fornivano loro prove dei preparativi russi d'invasione dell'Ucraina «supplicando un intervento di Pechino per fermarla». Gli americani sapevano del rapporto stretto tra Xi e Putin e speravano di sfruttarlo, ma non avevano capito che i cinesi non intendevano tradirlo, tanto che arrivarono a informare il Cremlino di queste manovre.
Obiettivo finale di Xi era dunque di partecipare ma
coinvolgendo l'Onu - alla partita negoziale ucraina con Putin. Al tempo stesso il leader cinese conta per il futuro sul sostegno russo su Taiwan, un'entità ribelle filoccidentale da riportare sotto controllo con qualsiasi mezzo.
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