Nella battaglia del grano lo straniero passa eccome

Agricoltori contro l'invasione estera che abbatte i prezzi e minaccia la qualità di pane e pasta

Nella battaglia del grano lo straniero passa eccome

Per i grandi marchi sarà pure una questione di costi, ma chissà se si sono accorti che molti italiani preferirebbero spendere qualche centesimo in più e mangiare pasta che tiene la cottura, che sia di farina ottima e possibilmente nostrana. Probabilmente ritengono che sia meglio investire in pubblicità e in confezioni invitanti anziché puntare sul made in Italy.

Attualmente, infatti, più della metà del pane che mangiamo è fatto con grano straniero e più di un pacco di pasta su tre pure. Solo nel 2015 sono stati importati circa 4,3 milioni di tonnellate di frumento tenero e 2,3 milioni di tonnellate di grano duro. E mentre il grano italiano prodotto da trecentomila aziende rimane nei magazzini invenduto, le industrie alimentari importano grano duro dal Canada (+4 per cento) e grano tenero dall'Ucraina. Proprio il paese di Cernobyl è diventato il terzo fornitore di grano tenero per la produzione di pane e le importazioni sono quadruplicate (+315).

La conseguenza? I prezzi pagati ai nostri agricoltori si sono praticamente dimezzati rispetto allo scorso anno. Il grano duro, usato per la pasta, viene pagato anche 18 centesimi al chilo, quello tenero per il pane è sceso a 16 centesimi, sotto dei costi di produzione. Il grano italiano, denuncia Coldiretti, è stato colpito da una speculazione da 700 milioni di euro. Una crisi che potrebbe provocare anche la desertificazione di circa due milioni di ettari del nostro territorio.

La situazione sembra insostenibile. Tanto che la protesta nazionale organizzata da Coldiretti ieri ha avuto grandissima adesione. Oltre centomila agricoltori hanno invaso le piazze di paesi e città con i loro trattori e mietitrebbia per sensibilizzare l'opinione pubblica e smuovere la acque.

Ci sono infatti tante storie di vita drammatiche dietro i cartelli. Come quella di Salvina. Ad Enna, con venti ettari di grano il padre ha mantenuto una famiglia facendo studiare tutti i figli. 30 anni dopo e con lo stesso numero di ettari, Salvina dopo ogni raccolto guarda con le lacrime agli occhi il suo prodotto ammassato. Il grano glielo pagano solo 16 centesimi al kg. Poi in autunno sarà costretta perché dovrà liberare lo spazio dove è ammassato. Con il grano biologico arriva al massimo a 28 centesimi al kg. Così per campare si è messa a coltivare piante aromatiche.

Situazioni assurde. Eppure siamo i primi produttori di grano duro in Europa, con il 44 per cento del totale e a livello mondiale siamo secondi solo al Canada. Soprattutto al Sud (72 per cento) si coltivano 1,3 milioni di ettari a grano duro che frutta 4,9 milioni di tonnellate. Puglia e Sicilia da sole rappresentano il 42 per cento della produzione nazionale. Nonostante ciò, importiamo 2,3 milioni di tonnellate di grano duro: dal 2012 al 2015 l'import è cresciuto del 64 per cento (nel 2012 era di 1,4 milioni di tonnellate). Il prodotto importato non è sottoposto né a controlli sanitari certi rispetto alla fase produttiva e di stoccaggio, né a sufficienti controlli in arrivo nei nostri porti. E il pericolo di micotossine nel frumento aumenta dopo i 18 mesi di stoccaggio.

Ma le industrie si difendono.

Secondo le stime di Aidepi, l'import di grano duro di qualità salva più della metà della produzione nazionale, che in alcuni anni, come sta succedendo nel 2016, rischia di non avere i requisiti di legge per essere utilizzata per la pastificazione. Felicetti, presidente pastai di Aidepi spiega: «Falso e fuorviante accusare i pastai di speculare sui prezzi del grano. Gli industriali, esattamente come gli agricoltori, subiscono le leggi dei mercati globali».

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