Nella decrescita in salsa grillina calano pure i soldi per l'Esercito

Nel programma del M5s l'intenzione di tagliare uomini, mezzi e stipendi dei militari. Nel momento in cui ce n'è più bisogno

Nella decrescita in salsa grillina calano pure i soldi per l'Esercito

Le armi preferite dai grillini sono, molto probabilmente, le forbici. Con le quali intenderebbero una volta arrivati al potere sforbiciare anche le nostre Forze Armate. In un'ottica di decrescita, non poteva che decrescere anche l'esercito. La spending review è una parola d'ordine che piace a tutti, ma in un momento così delicato per il nostro Paese sotto assalto dei migranti e con lo spauracchio del terrorismo internazionale magari sarebbe opportuno mettere nel mirino le risorse di altri settori meno legati alla sicurezza nazionale.

Il programma difesa del movimento 5 Stelle invece, coerentemente con tutti gli altri temi trattati dagli eruditi pentastellati, è permeato da una forte componente ideologica anticapitalista e pacifista. Gli anticasta iniziano il loro studio mettendo innanzi a tutto la tutela del personale che, secondo loro, passa attraverso una sindacalizzazione dei lavoratori: «Si parla tantissimo di forze armate europee ed esercito europeo, ma i militari italiani rimangono senza diritti, mentre in Europa ci sono circa 30 tra associazioni e sindacati di militari in 21 Paesi». Salvo poi, poche righe dopo, sostenere la necessità di un drastico taglio degli stipendi: «Oggi per gli stipendi delle Forza Armate si spende quasi il 75 per cento del bilancio della Difesa. Gli esperti internazionali parlano di un equilibrio al 50 per cento della spesa del personale: noi siamo completamente fuori!». E dunque? Dunque con una capriola circense si contraddice quello che è stato sostenuto appena tre righe sopra.

Stessa sorte toccherebbe anche al ministero, cui dedicherebbero «una riduzione o ottimizzazione dei costi di pertinenza ministeriale, in particolare alla gestione dei costi del personale». Poi dall'empito pacifista in una eterogenesi dei fini - si scatena una battaglia ad alzo zero nei confronti dell'industria bellica che, un po' come tutte le grandi industrie, ai grillini sta sulle balle. «L'Italia è tra i primi dieci paesi al mondo per fatturato legato alla produzione di sistemi d'arma, cioè di quell'industria che si occupa di navi, aerei, mezzi terrestri, sistemi informatici di sicurezza per il comparto Difesa nazionale ed internazionale». E uno dice: oh finalmente siamo d'accordo. Ma è d'uopo andare con i piedi di piombo, perché poi inizia una filippica sui «raggiri compiuti nel nome del profitto» (profitto nel dizionario grillino è qualcosa di molto simile a una bestemmia, ndr) da parte di aziende private o di partecipate statali». E l'idea dei pentastellati è «spostare buona parte degli investimenti pubblici, oggi impiegati nei programmi d'armamento tradizionali, verso lo sviluppo e la ricerca di strumenti più attuali come la cyber security e l'intelligence».

Certamente la sicurezza informatica è importante, ma il M5s, ancora una volta, sembra sacrificare il fattore economico (Finmeccanica, Fincantieri e Beretta - solo per citare alcune realtà - sono un patrimonio per il nostro Paese) in nome dell'ideologia. Solo che in questo caso il fattore economico rischia pericolosamente di combaciare con la sicurezza di tutti.

Ma sotto la motosega del Movimento Cinque Stelle non cadrebbero solo le buste paga di militari e dipendenti del settore bellico.

Il patriottismo, si sa, non è esattamente nelle corde dei seguaci di Grillo e dunque vorrebbero «ottimizzare le risorse riguardanti le feste nazionali (vedi parata militare del 2 giugno)». Praticamente: ammainare la bandiera della Festa della Repubblica nel nome della spending review. Decresce tutto nell'universo a Cinque Stelle, pure l'orgoglio nazionale.

(4. continua)

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