Se si ferma la trattativa dei metalmeccanici, tutti gli altri contratti scaduti, che riguardano 10 milioni di lavoratori, non vanno avanti. Se non si muove qualcosa a livello confederale e se la politica non farà la sua parte per rassicurare aziende e dare una sponda alle organizzazioni dei lavoratori, le tute blu non arriveranno alla firma.
La pandemia da Covid ha portato in dote un inasprimento nelle trattative sui contratti e uno stallo nelle relazioni industriali. Sindacati e associazioni datoriali (Confindustria in particolare) si ritrovano unite praticamente solo nel chiedere al governo uno sforzo maggiore per fare ripartire l'economia. Una grana in più per l'esecutivo Conte.
Ieri i sindacati dei metalmeccanici hanno proclamato sei ore di sciopero: quattro il 5 novembre, due per le assemblee che si terranno in questi giorni. È la risposta allo stop di mercoledì alle trattative sul contratto. Federmeccanica (la federazione metalmeccanica di Confindustria) offre il recupero dell'inflazione calcolato sull'indice armonizzato (Ipca) intorno a 40 euro lordi. I sindacati ne chiedono 145. Posizioni inconciliabili.
Oltre al salario delle tute blu e al braccio di ferro con la nuova Confindustria sul modello contrattuale, in ballo ci sono i rapporti con il governo. Cgil, Cisl e Uil, dopo mesi di rapporto privilegiato con l'esecutivo rosso-giallo, sono stati travolti dalla crisi da Covid e si sentono messi da parte. I sindacati delle tute blu chiedono al governo di «dichiarare se sta dalla parte di Bonomi o dei lavoratori sui contratti» (parole del segretario della Uilm, Rocco Palombella). Per il segretario Fiom, Francesca Re David, una cartina di tornasole potrebbe essere la posizione di «due società a capitale pubblico: Leonardo e Fincantieri».
Anche Confindustria ha il suo conto aperto con il governo. Bonomi ha chiesto chiaramente all'esecutivo guidato da Giuseppe Conte di essere parte in causa e di essere ascoltata su legge di Bilancio e sull'utilizzo del recovery fund. Ma vorrebbe anche una sponda politica alla «rivoluzione» dei contratti annunciata a inizio mandato: meno peso agli aumenti nazionali, più a quelli legati alla produttività, al welfare aziendale, in linea con il Patto per la fabbrica.
Partita aperta, assicura a il Giornale il segretario della Fim Cisl, Roberto Benaglia, che da un lato accusa gli industriali di avere rotto una trattativa che avrebbe invece bisogno di essere riempita di «contenuti e innovazioni». Ma esclude che ci si trovi in un vicolo cieco.
Andiamo verso un autunno caldo? «Non credo», spiega il sindacalista. «Abbiamo fatto 13 incontri in undici mesi, senza avere un pezzo di carta in mano». Federmeccanica deve tornare al tavolo. Ma è anche vero che «i contratti non sono fermi. Sono stati firmati quelli del vetro, della plastica. Oggi (ieri, ndr) quello della sanità privata».
Restano anche situazioni complicate. Come quella degli alimentaristi. In luglio Unionfood, Ancit e Assobirra hanno siglato con Fai, Flai e Uila un contratto con aumenti da 119 euro. Si tratta di una parte del settore, ma di peso, con aziende del calibro di Barilla e Ferrero. Federalimentare, quindi Confindustria, ha detto no.
Le multinazionali del settore non hanno subito troppo la crisi da pandemia, i piccoli del settore sì. Differenze che non hanno impietosito i sindacati di categoria, che oggi scioperano per quattro ore. Vogliono 119 euro di aumento per tutti. Come per le tute blu, obiettivo quasi impossibile.
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