Il colpo di coda per Dilma Rousseff è arrivato quasi in extremis. Domani il Brasile torna a votare e la corsa a ostacoli per la riconferma a presidente è stata più in salita che mai. È stata davvero dura per Dilma. Lei che aveva ammiccato alla classe media puntando su trasparenza e onestà ha dovuto cedere e ammettere: quelle maxi tangenti di Petrobras, l'Eni italiana, la più grande compagnia di petrolio e gas del Brasile con commesse milionarie esistono. Di fuoco le dichiarazioni dell'ex direttore di Petrobras, Paulo Roberto Costa, attualmente in carcere per riciclaggio: secondo l'ex manager, i politici citati ricevevano il 3per cento del valore dei contratti siglati da Petrobras all'epoca in cui lui era direttore dell'azienda, tra il 2004 e il 2012. Una valanga di soldi per commesse milionarie.
Passata la tentazione della prima ora di negare tutto, ha quindi iniziato a ricordare e ad ammettere l'esistenza di fondi neri del colosso petrolifero statale Petrobras con cui sarebbero state versate tangenti a politici di diversi partiti. «Ho chiesto al Supremo tribunale federale di conoscere i documenti dell'inchiesta ma mi hanno detto che sono ancora secretati. Comunque, farò tutto il possibile per risarcire il Paese». Quando e come, naturalmente non è stato reso noto. Meglio non soffermarsi su dettagli che potrebbero risultare ingombranti. Meglio concentrarsi su frasi vaghe e ad effetto. Salvare il salvabile è la parola d'ordine nel Partito dei Lavoratori di Dilma. Rischiavano - quelle mazzette ormai piatto puzzolentissimo sotto al naso del partito che da dieci anni è al potere - di diventare una zavorra per Dilma. E invece gli ultimi sondaggi rivelano che i brasiliani hanno apprezzato l'onestà della presidenta, e realismo alla mano, sembrano aver chiuso un occhio. Secondo un sondaggio Ibope, Dilma sale al 54% delle intenzioni di voto contro il 46% dello sfidante. Non avrebbe dunque sorpreso i brasiliani l'idea della corruzione nel Partito dei Lavoratori. Tutti più o meno coinvolti nella «distrazione di denaro pubblico» e ora- dicono in coro- «lo vogliamo indietro». Eppure Aécio Neves, il candidato socialdemocratico dopo l'ammissione da parte di Dilma sperava. È una battaglia all'ultimo punticino. Marina Silvia, la grande sconfitta del primo turno con il 20% dei voti, è ormai una presenza fissa nei comizi elettorali di Aécio Neves. Anche un solo voto potrebbe fare la differenza. E i due schieramenti lo sanno fin troppo bene. Il granaio dei poveri dal quale attinge la Rousseff è grande, Bahia in testa, ma dall'altra parte c'è la classe media, che sta aumentando; è l'altra faccia della medaglia chiamata crescita che inizia a contare davvero. È lì che si lotta di più per le preferenze e la tensione è alle stelle. Mai come in questo giro le elezioni sono diventate un batti e ribatti di insulti, tiri mancini e colpi bassi. Anche Lula, smesso i panni del grande leader carismatico internazionale è intervenuto in soccorso della sua delfina in difficoltà. «È un figlio di papà» ha dichiarato Lula infuriato che ha chiesto a diversi ministri del partito di mettersi addirittura in ferie per concentrarsi eslcusivamente su una campagna che il partito non può perdere. L'obiettivo è chiaro: cercare di avvicinarsi all'elettorato rappresentato dalla Chiesa cattolica e dai movimenti sociali. «Non ho mai visto un cittadino mancare di rispetto alla presidente come ha fatto il nostro oppositore ha dichiarato Lula».
Intanto continuano a uscire sui quotidiani rivelazioni su Petrobras.
Davanti alla polizia federale e alla Procura di Curitiba, il faccendiere Alberto Youssef ha dichiarato che l'attuale presidente Rousseff e Lula, «sapevano tutto» del sistema di corruzione creato all'interno della compagnia petrolifera. Chissà se servirà questo a fermare Dilma.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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