Netanyahu tra due fuochi. La promessa "sospende" la rivolta dell'ultradestra. E Trump non arretrerà

Il premier prova a frenare Ben Gvir e Smotrich. Il piano Usa: 50 miliardi per uno Stato palestinese

Netanyahu tra due fuochi. La promessa "sospende" la rivolta dell'ultradestra. E Trump non arretrerà
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Ora il premier israeliano Benjamin Netanyahu è tra due fuochi. Da una parte quello di Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, i due ministri dell'ultra-destra messianica che giovedì notte hanno detto «no» alla tregua con Hamas. Dall'altra quello di un Donald Trump deciso a trasformare il cessate il fuoco in un accordo di lunga durata capace di consegnarlo alla storia come il risolutore della questione israeliano palestinese.

Fin qui il premier israeliano se l'è cavata con un compromesso avallato, racconta lui, sia dall'Amministrazione di Joe Biden sia dal prossimo inquilino della Casa Bianca. La promessa, garantita dai due Presidenti, gli consentirebbe la ripresa delle ostilità qualora non si arrivi alla terza fase del cessate il fuoco. Una fase in cui - consegnati i cadaveri degli ostaggi israeliani deceduti in prigionia - si affronteranno le discussioni sulla ricostruzione di Gaza e sulla nascita di un nuovo governo nella Striscia. Seppur indispensabile a tener appesi Ben Gvir e Smotrich e ad evitare la caduta dell'esecutivo Netanyahu la promessa rischia di esser di breve durata. Da domani, usciti definitivamente di scena Biden e i suoi, l'interlocutore unico di Netanyahu sarà Donald Trump. Un interlocutore assai poco disponibile a mettere in discussione quello che lui stesso ha definito un «risultato epico». Anche perché gestire una ripresa delle ostilità significherebbe subire le stesse accuse di debolezza piovute sul capo di Biden negli ultimi 15 mesi. E, soprattutto, rinunciare a un accordo per la pace in Medioriente capace di consegnare alla storia il suo mandato. Su questo «The Donald» non intende fare passi all'indietro. Non a caso Mike Waltz, prossimo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, spiega come l'«enorme priorità» successiva alla tregua sia un «tremendo e storico accordo tra Arabia Saudita e Israele capace di cambiare la regione». L'obbiettivo di Trump non è dunque tornare alla guerra, ma rilanciare quella normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele bloccata dai massacri del 7 ottobre a pochi giorni dalla sua firma.

Nei progetti del prossimo Presidente la soluzione della questione palestinese riparte, insomma, dagli «Accordi di Abramo» messi a punto durante il primo mandato. Ma con una differenza fondamentale. Allora il mondo confidava ancora nel progetto di «due stati per due popoli» e sull'idea di concedere «terra in cambio di pace». I massacri del 7 ottobre, i morti di Gaza e il carico d'odio generato da 15 mesi di conflitto hanno reso irrealizzabili le vecchie formule. Per contro si è fatta più accettabile l'idea di uno stato palestinese affidato alla tutela economica e politica dell'Arabia Saudita. Per convincere Netanyahu, o chi sarà al suo posto, ad accettarne la nascita, e il principe saudita Bin Salman ad assumersene costi e rischi, Trump è pronto ad offrire ad entrambi l'eliminazione della minaccia nucleare iraniana. Un obbiettivo da raggiungere o attraverso un duro negoziato con Teheran che porti allo smantellamento concordato delle infrastrutture atomiche o attraverso il bombardamento delle stesse. Una volta ridimensionato l'Iran sarà compito del Principe Bin Salman garantire uno stato palestinese in cui Hamas sia ridotto a forza marginale mentre lo sviluppo promesso ai suoi abitanti dovrà compensare il passaggio sotto la bandiera d'Israele di territori cruciali come la Valle del Giordano.

Uno stato insomma dove la vecchia formula della «terra in cambio di pace» sia sostituita da quella di «pace in cambio di prosperità».

Un concetto già sviluppato nel 2019 quando Jared Kushner, il genero di Trump responsabile al tempo del dossier Mediorientale, promise un fondo da 50 miliardi per lo sviluppo dello stato palestinese. Una promessa resuscitata, benché Ben Gvir e Smotrich non se ne siano accorti, dalla crudele durezza di 15 mesi di guerra.

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