Infuriato e a testa alta, mentre Gerusalemme prendeva fuoco con manifestazioni, urla, cartelli pro e contro, quando Benjamin Netanyahu si è presentato alle tre del pomeriggio al tribunale come imputato, si è tolto la mascherina, si è posto di fronte al microfono circondato dai suoi ministri (tutti con le mascherine) e ha sparato: «Lo scopo di questo processo è fare quello che con le elezioni, che da 11 anni mi danno democraticamente ragione, non sono mai riusciti a fare: eliminare un primo ministro forte e il suo governo di destra. Pensavano che mi sarei piegato, che mi sarei accucciato come un cucciolo impaurito, ma io non sono un cucciolo. E questo processo, pieno di impicci e falsificazioni, dovrete trasmetterlo tutto in diretta, da capo a fondo, perché la verità sia ristabilita». No, non è un cucciolo, anzi un «poodle», un barboncino, come ha detto. È il Primo ministro che ha battuto con 11 anni di florido potere persino Ben Gurion; che arriva al processo dopo avere guidato il Paese fuori dalla pandemia; che è riuscito ad arrivare al processo da premier di una impossibile coalizione a rotazione. L'accusa formale del procuratore generale è del 21 novembre, il 28 gennaio l'accusa è stata formalizzata, e le tre elezioni (col Likud sempre in crescita nonostante le accuse), il coronavirus e le trattative di governo hanno allungato i tempi.
Netanyahu ieri ha sostenuto che un gruppo elitario e compatto di politici, giornalisti, giudici ne ha decretato la persecuzione, e che per questo il Paese ha sofferto inganni, false testimonianze, prove fasulle e forzate, invenzioni giuridiche inesistenti. Le tre imputazioni, tutte incerte e pericolanti, richiedono per il dibattimento una massa di carte e di testimoni per cui, dopo questa prima seduta di pure formalità, i tre giudici, il procutore Mandelblit, la pubblica ministera Liat Ben Ari si preparano a un processo lunghissimo. Non si porrà probabilmente, quindi, il problema di gestione del governo fino alla rotazione con Benny Gantz fra 18 mesi. Ma in realtà lascia senza fiato che un Primo ministro della stazza di Netanyahu sia stato trascinato fino nel banco degli imputati senza nessuna accusa di aver intascato denaro (come invece fu il caso di Ehud Olmert). Tre sono i casi in questione: il numero 2000 e il 4000 concernono tentativi di convincere i proprietari del quotidiano Yediot Aharonot e quello del sito Walla a dare a Bibi una copertura più favorevole. Ma non è successo, e mai Yediot ha abbassato i toni. Quanto a Walla (procedimento 4000) il padrone Shaul Elovitch (accusato di corruzione con Bibi) avrebbe ricevuto facilitazioni statali per una fusione con la grande compagnia Bezek in cambio di articoli positivi. Qui l'accusa è la più forte, ma sembra che Walla non abbia mai cambiato tono, e soprattutto che la fusione fosse stata decisa da una apposita commissione prima che arrivasse nelle mani del pm.
Infine il caso 1000 (abuso di fiducia) riguarda i regali di sigari e champagne per 25mila euro l'anno per 20 anni: lusso eccessivo, ma lo scambio non si trova, a meno che non si consideri tale una telefonata all'ambasciata americana per far concedere il visto a Milchan. Il famoso avvocato americano Alan Dershowitz ha esaminato a fondo la cartella, e ha dedotto che si tratta di accuse pericolose per lo stessa sistema democratico, perchè inducono sfiducia nel pubblico per la loro fragilità.
La tempesta è appena cominciata: Netanyahu adesso, come volevano i suoi nemici, è sotto processo. Ma la sua forza, dopo che ha ha creato un Paese moderno, ben difeso, pacifico, è grande. Non la si uccide con un processo sfrangiato.
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