"Noi gay contro la gogna. Siamo alfieri della libertà"

L'esperto di media: «In questa vicenda c'è una forma di ipocrisia e perbenismo inaccettabile»

"Noi gay contro la gogna. Siamo alfieri della libertà"
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La gogna evocata contro il generale Roberto Vannacci? «Una follia». Un atteggiamento illiberale che danneggia innanzitutto la comunità gay. Klaus Davi parla «da omosessuale» e da esperto di comunicazione: ci tiene a precisarlo, quasi a voler contestualizzare il proprio punto vista sul caso mediatico degli ultimi giorni e sulle reazioni da esso suscitate. Le discusse dichiarazioni dell'ex comandante della Folgore, infatti, non solo non hanno offeso il noto giornalista, ma lo hanno anche spinto a pronunciare una convinta difesa della sua libertà d'espressione.

Che idea si è fatto?

«Non condivido le reazioni punitive. Noi gay siamo stati gli alfieri della libertà d'espressione, ci siamo battuti e sacrificati storicamente per difenderla, e adesso pretendiamo la gogna per chi ha idee diverse dalle nostre? Mi sembra una follia. Così ci rendiamo odiosi, diventiamo dei censori. Noi, che per secoli abbiamo vissuto nell'emarginazione, ora chiediamo che una persona venga emarginata? Eravamo i paladini del laicismo, cosa siamo diventati?»

Il generale dice che oggi essere gay «vuol dire essere intoccabili, privilegiati». Concorda?

«Gli do ragione quando si riferisce a una classe dirigente, a una zona d'influenza fatta da chi conta. Certo, per chi invece vive da omosessuale in un piccolo paese di provincia non vedo tutti questi benefici: anche nel mondo gay ci sono privilegiati e svantaggiati. Concordo con il generale quando parla di una mancata possibilità di critica, che è un atteggiamento malsano. Il vittimismo ci danneggia. Fenomeni come Gianni Versace o Dolce e Gabbana non hanno avuto bisogno della lobby gay per affermarsi. Lo hanno fatto e basta».

Il politicamente corretto ha colpito ancora?

«In questa vicenda c'è una forma di ipocrisia e di perbenismo inaccettabile. Anche a sinistra c'è molta gente che la pensa come il generale, ma magari non lo dice. Ecco perché tutta questa canea mi dà fastidio».

Però tra i progressisti c'è stata una levata di scudi. Qualcuno ha addirittura definito Vannacci «un soggetto pericoloso».

«Non sono d'accordo con l'atteggiamento di certi esponenti di sinistra, che in quel modo confermano peraltro il concetto di lobby evocato da Vannacci».

Intervistato da lei nel 2008, il generale Mauro Del Vecchio (poi diventato senatore Pd) disse che i gay nell'esercito «sono inadatti». Ma non si ricordano critiche altrettanto feroci da sinistra.

«Ma certo, due pesi e due misure. Ed è quello che rende poco credibile il dibattito sull'argomento. Se certe cose le dice uno di destra, parte la gogna, se invece le dice uno di sinistra che poi si scusò passa tutto in cavalleria. Criticare le idee è legittimo, ma non dobbiamo chiedere l'espulsione e la discriminazione di chi le esprime. Noi gay siamo morti nei campi di concentramento per il nostro orientamento e le nostre idee, quindi non possiamo essere illiberali. Peraltro, esiste un mondo gay di centrodestra che non si riconosce in questa intransigenza e nel radicalismo. Io stesso non mi sento in alcun modo rappresentato da quanti chiedono la censura».

Da un punto di vista mediatico, come giudica questa vicenda?

«È un dibattito elitario che serve anche a ridefinire la narrazione pubblica. In quanto gay, non mi sono sentito assolutamente offeso dalle dichiarazioni di Vannacci. Anzi, in qualche modo lui ha detto che siamo influenti e ci ha fatto un favore: ha sottolineato come una minoranza sia riuscita a condurre certe battaglie. Noi omosessuali non siamo minacciati dal generale, come sostiene qualcuno, né lo siamo dal governo Meloni o da quelli precedenti.

Queste sono balle. Chiedere la censura è aberrante, è contro la nostra storia e io da liberale non lo posso accettare. Piuttosto, dobbiamo tutelare chi davvero è vittima di violenza o di bullismo nelle sacche della disuguaglianza».

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