Un errore in buona fede, uno sgarbo alle toghe o una mossa strategica? Pare che il Guardasigilli a Cinque Stelle Roberto Bonafede sia incline a prendere decisioni controverse, e anche l'ultima nomina del ministero di via Arenula non sembra sottrarsi a questa regola. Dopo le polemiche per la famigerata circolare del Dap che aveva svuotato le carceri sotto lockdown e la sequela di dimissioni che avevano punteggiato la primavera, ieri il ministro della Giustizia ha riempito una di quelle caselle del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che si erano svuotate in primavera. Il posto lasciato libero era di quelli che pesano, per importanza e per delicatezza, ossia la poltrona di direttore generale detenuti e trattamento del Dap, occupata da Giulio Romano solo da febbraio a maggio e poi rimasta vacante a lungo, non senza polemiche da parte degli addetti ai lavori. Ora per quel posto è stato nominato Gianfranco De Gesu, una risorsa interna al Dap, stimato dirigente dell'amministrazione penitenziaria, calabrese, 62 anni. Ma nel suo rispettabile curriculum spicca una mancanza: non è un magistrato. Non un dettaglio, per il nuovo responsabile di un incarico che da 35 anni è appannaggio di una toga. Anche perché il dg Detenuti e Trattamento si occupa di gestire una delle materie più delicate del sistema carcerario, e il DNA naturale per ricoprire quel ruolo ricade nel profilo genetico degli appartenenti alla magistratura.
Non è un caso, in effetti, che quando a luglio si lamentava del mancato avvicendamento del dimissionato Giulio Romano, il segretario generale del sindacato Sappe Donato Capece spiegava: «Mi sembra assurdo che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede non abbia ancora nominato un magistrato nell'incarico di Direttore generale dei detenuti e del trattamento». Una scelta dei termini non casuale, «un magistrato», non «un sostituto».
Così, anche se nessuno solleva obiezioni sulle qualità personali di De Gesu, la sua nomina sembra aver rinnovato frizioni tra la magistratura e il Guardasigilli, dopo le polemiche dei mesi scorsi tra Bonafede e Di Matteo per la mancata nomina di quest'ultimo a capo del Dap (ma ad essergli preferito fu comunque un magistrato, Basentini, poi dimessosi ad aprile in seguito alle polemiche per le scarcerazioni facili causa Covid).
Tra molti addetti ai lavori, e tra le toghe in particolare, la scelta del ministro pentastellato è considerata incomprensibile, considerate le specifiche competenze richieste dal ruolo, e se qualcuno si limita a fare spallucce derubricando la nomina come «stravagante», c'è anche chi ci vede uno sgambetto deliberato alla magistratura, quasi fosse un cavallo di Troia della politica infilato nel recinto del potere giudiziario.
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