Non c'è mai pace per Ramelli: il libro messo a testa in giù, la scuola che non vuole la targa

Ancora troppo odio a 50 anni dall'aggressione. E nell'anniversario la dedica di un francobollo

Non c'è mai pace per Ramelli: il libro messo a testa in giù, la scuola che non vuole la targa
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Non sono serviti a niente. Cinquant'anni buttati da chi non capiva allora e non capisce adesso, quando sarebbe così semplice dire che l'aggressione di Sergio Ramelli a colpi di chiave inglese per mano dei militanti di Avanguardia operaia e la sua morte dopo 47 terribili giorni di agonia è stata un orrore. Punto e basta, senza distinguo od oscene allusioni al suo essere stato un fascista e magari un picchiatore. Perché Ramelli non era né l'uno, né l'altro ed è proprio da quei distinguo ripetuti dai cattivi maestrini che anche oggi nascono parole e gesti orribili. Come quello di chi alla Stazione Centrale di Milano ha capovolto il bel libro di Giuseppe Culicchia Uccidere un fascista uscito in questi giorni proprio per raccontare proprio la tragica vicenda di Ramelli. Un inno alla conciliazione, tanto che l'autore la associa a quella del cugino Walter Alasia, il brigatista rosso morto in quegli anni in uno scontro a fuoco con la polizia. Un intento di pacificazione evidentemente inutile con chi i libri non li legge, ma si limita a capovolgerli, augurandosi un nuovo Piazzale Loreto per chi non è di sinistra.

E certo poca comprensione ha avuto anche il Consiglio d'istituto del Molinari, la scuola dove cominciò il calvario della famiglia Ramelli dopo che Sergio scrisse un tema chiedendo perché nessuno si indignasse dopo i primi due omicidi delle Brigate Rosse, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci trucidati il 17 giugno del 1974 nella sede dell'Msi in via Zabarella a Padova. Una vicenda, come riferisce Repubblica, da non ricordare nell'istituto che fu terribilmente muto davanti a quella morte terribile e che anche oggi ha provato a opporsi al ministro all'Istruzione Giuseppe Valditara e alla sottosegretaria Paola Frassinetti che questa mattina apporranno una targa per ricordare la tragica sorte de quell'alunno. Davvero contestabili le ragioni che parlavano della necessità di un'iniziativa che non sia «motivo di divisione» e «occasione per una riflessione autentica e profonda sul periodo drammatico». Come se la targa in memoria di un 18enne a cui è stato sfondato il cranio, possa essere motivo di divisioni e scarsa comprensione di quegli anni.

E oggi alle 14,30 a Palazzo Reale di Milano, il ministro Adolfo Urso, il presidente del Senato Ignazio La Russa e Frassinetti presenteranno il francobollo commemorativo di Ramelli, voluto dal Ministero delle Imprese e dal Poligrafico e Zecca dello Stato a 50 anni dalla sua scomparsa. Un'occasione per rileggere le carte del processo nel quale proprio La Russa era avvocato al fianco di Anita Ramelli, mamma di Sergio.

«Prima - dichiarò Marco Costa, il capo della squadra di Avanguardia operaia che uccise Sergio - i fascisti erano un simbolo odiato, ma lì davanti non avevo più un fascista, c'era Ramelli che era un uomo». E allora «ho nascosto la mia coscienza e ho affidato alla mia ideologia il compito da svolgere». Parole terribili, sulle quali meditare. Magari davanti alla targa posata in una scuola.

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