"Non dirò che ho perso". Il video che accusa Trump (ma lui pensa già al 2024)

Filmati, messaggi e testimoni contro l'ex leader. Il piano del tycoon per tornare alla Casa Bianca

"Non dirò che ho perso". Il video che accusa Trump (ma lui pensa già al 2024)

Washington. Un piano per cambiare radicalmente la struttura del governo federale e assicurarsi il sostegno di migliaia di dipendenti e dirigenti pubblici scelti tra le fila dei fedelissimi. È la «grande purga», il piano con il quale Donald Trump risponde alle sconvolgenti testimonianze emerse dall'inchiesta e dalle udienze pubbliche della Commissione della Camera dei rappresentanti che indaga sull'insurrezione del 6 gennaio del 2021. Se le rivelazioni del sito Axios dovessero trovare conferma sarebbe la conferma che l'ex presidente non si sente (finora) minacciato dalle conclusioni dell'indagine. Del resto, in un'intervista di qualche giorno fa, Trump aveva detto di avere «già deciso» riguardo alla sua nuova candidatura per il 2024. E a tutti è parso chiaro che la questione non è «se», ma «quando» annuncerà la rivincita per la Casa Bianca.

Ecco allora che il piano prevede la sostituzione forzata, nei dipartimenti chiave, degli odiati «fiancheggiatori dei Democratici» con funzionari scelti in base non alle loro capacità professionali, ma in base alla fedeltà al Capo. Lo strumento legale è pronto da tempo. Sarebbe il cosiddetto «Schedule F», un ordine esecutivo studiato da Trump e dal suo entourage più ristretto durante la seconda metà del suo secondo mandato, e firmato appena 13 giorni prima delle elezioni presidenziali del 2020. Lo strumento perfetto per non farsi trovare impreparato come nel 2017, quando Trump approdò alla Casa Bianca senza un'infrastruttura umana disposta ad assecondare ogni suo ordine nei gangli vitali dello Stato federale. Le eventuali cause legali che dovessero sorgere potrebbero essere disinnescate dalle decine di giudici nominati dallo stesso Trump durante la sua prima presidenza, senza contare la maggioranza di 6 a 3 di cui la destra repubblicana gode nella Corte Suprema.

Ieri nell'ultima udienza pubblica della commissione parlamentare che indaga su di lui, sono emerse nuove circostanze pesantissime: i 187 minuti di inazione di Trump davanti alla tv che trasmetteva le immagini dell'assalto a Capitol Hill; un filmato di quelle ore in cui si sente Trump rifiutare di ammettere la sconfitta elettorale («Non voglio dirlo. Voglio dire solo che il Congresso ha certificato i risultati senza dire che è finita»), mentre la figlia Ivanka cerca di convincerlo a registrare il messaggio di riluttante condanna delle violenze; le accuse di «violazione del giuramento alla costituzione» e «abdicazione ai suoi doveri» lanciate dal deputato repubblicano Adam Kinzinger.

Pistole fumanti. Eppure Trump [che ieri ha commentato: «Solo menzogne») sa bene che l'effetto sulla sua base elettorale di questa mole di documenti e accuse è probabilmente nullo. Anzi, il rischio per i Democratici è che il j'accuse definitivo contro Trump rafforzi nei trumpiani duri e puri l'idea della persecuzione politica contro di lui. I legali del dipartimento di Giustizia stanno pesando i pro e i contro di un'azione legale contro di lui. L'effetto di un processo, dopo i due impeachment già superati senza danni, sarebbe probabilmente quello di acuire ulteriormente le divisioni politiche in atto al Congresso e nella società, con effetti pericolosi e imprevedibili per la democrazia americana. Senza contare che l'esito di un processo, a differenza dei lavori della Commissione parlamentare, non è affatto scontato. Trump potrebbe portare in aula testimoni ed eventuali prove a suo favore, a differenza di quanto accaduto nel procedimento del Congresso.

«Può un presidente che fece le scelte fatte da Donald Trump durante le violenze del 6 gennaio essere considerato di nuovo affidabile per ricoprire qualsiasi

carica o autorità nella nostra grande nazione?». È la domanda posta all'opinione pubblica da Liz Cheney, repubblicana e grande accusatrice dell'ex presidente all'interno della Commissione. Trump, evidentemente, pensa di sì.

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