Non possiamo fallire la rivoluzione dello smart working

Il Covid-19 ha prodotto anche il più grande esperimento globale di «lavoro da casa» della storia

Non possiamo fallire la rivoluzione dello smart working

Il Covid-19 ha prodotto anche il più grande esperimento globale di «lavoro da casa» della storia. Le riunioni? Sugli schermi: da 12 milioni di utenti giornalieri, Teams, la piattaforma di videoconferenza di Microsoft, è salita a 44 milioni di persone collegate a marzo. La cinese Zoom è passata dai 10 milioni di dicembre a più di 200 milioni in aprile mentre Webex di Cisco ha ospitato a marzo quasi tutta la popolazione degli Stati Uniti: 324 milioni di utenti. Sundar Pichai, gran capo di Google, ha confermato che l'utilizzo di Google Meet è aumentato di 30 volte arrivando a 100 milioni di utilizzatori al giorno.

Lo smart working però non è nato con la pandemia. Nel 2015 l'agenzia di viaggi cinese CTrip, quotata al Nasdaq e con 16mila dipendenti, offrì la possibilità di lavorare da casa a un gruppo di volontari per nove mesi. Risultati: aumento delle prestazioni del 13%, una complessiva più alta soddisfazione evidenziata da un tasso di assenza per malattie dimezzato, premi e aumenti dovuti a un balzo dell'utile aziendale del 22%. Ma, finito l'esperimento, quando l'azienda chiese a chi lavorava da casa di scegliere se continuare o meno, la metà optò per il ritorno in ufficio nonostante il tempo «perduto» nel pendolarismo (in media 80 minuti al giorno) e i maggiori costi che ne derivavano. La solitudine e la mancanza di opportunità di socializzare le più frequenti motivazioni. Di contro un 10% dei dipendenti che non si erano offerti volontari per l'esperimento decisero di chiedere di lavorare da casa. Risultati simili per una prova ancora più lunga (2 anni) effettuata dall'Ufficio dei Brevetti degli Stati Uniti: oltre 132 milioni di dollari di maggior raccolta in termini di tasse primo posto nella classifica dei «migliori luoghi di lavoro nel governo federale».

Nessuno ha calcolato il numero degli attuali telelavoratori ma di certo le aziende, anche quelle meno digitali, hanno imparato come si possa lavorare da casa, con quali vantaggi, a quali condizioni e con quali rischi. E si comincia a pensare che, come ha detto l'ad della banca Barclays, «l'idea di rimettere 7mila persone in un edificio potrebbe appartenere al passato».

Gli elementi emersi: più rischi cyber, meno pendolarismo, più produttività, meno urbanizzazione, più attenzione alle performance che alla presenza, meno socializzazione, ambiente più pulito, più tempo a disposizione, meno supervisione, meno assenze, più attenzione alla famiglia. È tempo di cercare un nuovo equilibrio. Come disse Winston Churchill: «Non lasciare mai che una buona crisi vada sprecata».

*Presidente Centro per la Cultura d'Impresa

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