"Non serve un governo di unità nazionale. Ma nemmeno Conte"

L'ex ministro degli Esteri: "A questo premier non affiderei nemmeno il mio condominio"

"Non serve un governo di unità nazionale. Ma nemmeno Conte"

Nessun sostegno a Giuseppe Conte («Io non gli affiderei neppure la portineria del mio condominio»). Nessun governo di unità nazionale («Non è una risposta adeguata»). Meglio la «crisi» («Che in democrazia è un momento alto»). E dunque, per Antonio Martino, uno degli ideologi di Forza Italia e già ministro degli Esteri e della Difesa insieme a Silvio Berlusconi, l'errore da non compiere è soccorrere l'esecutivo, rinunciare alla diversità dei mondi: «Destra e sinistra non sono uguali e non si possono ammucchiare».

L'Italia rimane ammucchiata ma chiusa in città. Gli architetti in campagna. E gli ex ministri?

«Mi trovo a Roma. A casa, come tutti. Sto bene, compatibilmente alla situazione che non voglio però chiamare guerra. Ho come l'impressione che si stia perdendo la memoria».

Ma tornano le lusinghe. Il premier riscopre il garbo di Forza Italia. È possibile un'alleanza con l'attuale governo?

«Mi sembra che Forza Italia l'abbia giustamente esclusa e dico giustamente. Sarebbe un gravissimo errore che spero non venga commesso».

È sempre stato un uomo di dialettica perché esclude questa ipotesi?

«Perché questa fantasia cancellerebbe l'immagine di Forza Italia. Cosa è stata e cosa è Forza Italia? Non è altro che l'alternativa. È nata come alternativa alla Dc e al Pci. Oggi è ancora alternativa a una destra-destra che non è la mia destra e a una sinistra che non può sostituire l'idea che ho della destra».

In passato si sono però sperimentate alleanze necessarie. Non si può ripetere?

«Dobbiamo avere come valore l'alternanza. Ogni democrazia è matura se consente, attraverso elezioni, un avvicendamento».

In questi giorni, il premier si accredita all'estero, accetta perfino le scuse della Ue. Le piace?

«Sarò forse minoranza, ma io sono ancora tra quelli che non intravedono in lui tutto questo talento. Non gli affiderei neppure la portineria del mio condominio. Detto seriamente: non ho simpatie per lui».

Sono molti a temere una crisi al buio. L'epidemia ha sospeso anche la possibilità di cambiare e votare?

«Si cade nell'errore. Si demonizza la parola crisi senza conoscerne a pieno il significato. Ma cosa sono le democrazie se non il prodotto delle crisi?».

È tra i pochi che lo pensano.

«Non mi scoraggia. Il mio professore di filosofia ricordava sempre: Se hai torto continuerai ad avere torto anche quando gli altri ti daranno ragione. Ma se hai ragione continuerai ad avere ragione anche quando tutti ti diranno che hai torto».

Neppure un governo di unità nazionale, senza Conte, la convince?

«Non è detto che governerebbe meglio. Sono governi che non permettono ai cittadini di esprimersi. Io li vedevo, e continuo a vederli, come una degenerazione, una malattia».

Sceglierebbe Matteo Salvini come candidato premier?

«Raccoglie più voti in quel campo ma pure esteticamente - pur riconoscendone il valore - non ritengo possa essere un leader di un polo aggregato».

Luca Zaia?

«È quello che definisco un leghista a metà strada. Ma la specialità è il suo Veneto, che dopo la guerra è stato abbandonato mentre il Mezzogiorno sovvenzionato. Ebbene, il Veneto è diventato ricco e il Sud è rimasto povero. Questo per ripetere che a volte è meglio l'adagio abbandonateci a noi stessi».

Siamo abbandonati alla scienza?

«Siamo dominati dagli scienziati e la politica non decide. Parlando ancora di crisi, sono queste che fanno nascere i leader. Winston Churchill senza Hitler sarebbe rimasto un ottimo pittore e storico. Il dramma ne ha fatto un eroe».

In questo dramma è nato un leader?

«Non è nato. Ma io, del resto, sono rimasto a casa...»

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